- Jonas Bjerre - Voce, chitarra
- Bo Madsen - Chitarra, basso
- Silas Utke Graae Jørgensen - Batteria
1. New Terrain
2. Introducing Palace Players
3. Beach
4. Repeater Beater
5. Intermezzo 1
6. Silas The Magic Car
7. Cartoons and Macreme Wounds
8. Hawaii Dream
9. Hawaii
10. Vaccine
11. Tricks
12. Intermezzo 2
13. Sometimes Life Isn't Easy
14. Reprise
No More Stories...
"I Mew sono i nostri eredi"
Parola di Bono Vox e The Edge degli U2, anche se - nonostante a parlare siano due mostri sacri del Pop - c'è poco da fidarsi. Questo perchè, a conti fatti (e rendersene conto ad orecchio nudo non è di certo un'impresa), i danesi Mew con gli U2 hanno poco o nulla a che fare: esponenti di un ricercato indie-rock alternativo (da loro goliardicamente battezzato pretentious art rock), i danesi di Hellerup sono forse il nome più brillante e originale della scena indipendente europea, e questo per una serie di ragioni di certo non trascurabili, in quanto unici nel loro saper fondere l'onirismo dello shoegaze con le luccicanti simmetrie del pop e le più ragionate peculiarità neo-prog, oltre che sapienti nell'aver saputo creare un bilanciato compromesso tra sperimentazione e prodotto easy-listening.
Non è infatti un caso che per i quattro danesi il successo sia arrivato con la distribuzione del proprio disco dal maggior appeal commerciale, quel Frangers che nel 2003 - anche grazie al passaggio dalla Evil Office alla Sony - riuscì addirittura a piazzarsi nelle chart britanniche. Ma, come sappiamo, non è il successo commerciale di un gruppo a definirne caratteristiche e qualità: dopo un tour di spalla ai R.E.M. sempre nello stesso anno, i Mew - non sazi dei buoni responsi economici ricevuti - si rimettono a lavoro e danno alle stampe il loro disco (forse) più convincente, And The Glass Handed Kites (2005) che, riassumendo il mood sperimentale delle origini e fondendolo con la più accogliente attitudine pop di Frangers, trasporta il linguaggio dei complesso danese verso un definitivo stato di equilibrio e maturità compositiva.
A quattro anni di distanza da quel piccolo gioiello di indie-rock deturpato, i Mew fanno ritorno con quello che verrà probabilmente ricordato come il loro album più strano: No More Stories / Are Told Today / I'm Sorry / They Washed Away // No More Stories / The World Is Grey / I'm Tired / Let's Wash Away (da leggere come una vera e propria poesia, non tanto come un semplice titolo) è infatti un disco che, nonostante riprenda in linea di massima le formule stilistiche dei precedenti lavori, ne risulta allo stesso tempo piuttosto distaccato per via di un'attitudine ancora più sfumata, indefinibile e particolare. I raffinati giochi strumentali persistono ma sotto una luce completamente nuova seppur meno vigorosa, per non parlare delle atmosfere dei brani che guadagnano in particolarità risultando però più fredde: a rimanere intatti vi sono però le solite costruzioni asimmetriche e i fascinosi ghirigori melodici che, sin dai tempi di Triumph For Man (1997), sono stati il loro fiore all'occhiello.
Limitate le impennate shoegaze e il piglio malinconico degli anni passati, No More Stories... si avvicina maggiormente al "normale" prodotto indie (sfiorando in casi come la mediocre Beach le trovate dei francesi Phoenix) sebbene riesca a mantenere piuttosto inalterato gran parte del ricercato repertorio mewiano: Repeater Beater e la perla Introducing Palace Players (ottimo connubio di alt-rock, prog e synth-pop) sciorinano infatti il solito, coinvolgente intersecarsi di asimmetrie armoniche e raffinati melodismi che nel loro cerebrale fluire mettono in secondo piano gli echi psichedelici e quei pochi afflati onirici che resistono solo nella brevissima oasi atmosferica di Hawaii Dream e nella malinconica Reprise. Ma la perdità della fumosità dream-pop non fa in ogni caso crollare le solide fondamenta di No More Stories... che continua a mostrare il suo lato più tagliente con il dinamismo new wave di Vaccine e Sometimes Life Isn't Easy, senza però perdere contatto con le più soavi sperimentazioni atmosferiche, splendidamente simboleggiate dall'opener capolavoro New Terrain e dai morbidi refrain di Cartoons and Macreme Wounds e Silas The Magic Car. In fin dei conti - al di là degli inutili Intermezzo - le sole Hawaii (con i suoi fastidiosi barocchismi esotici) e Tricks (malriuscito esperimento elettronico) risultano essere sotto tono e incapaci di emozionare alla stessa maniera delle altre canzoni.
Più ballabile e solare ma al contempo privo di quel doppiamente affascinante piglio malinconico, decadente e "dark", No More Stories... dimostra nuovamente quanto i Mew siano ancora rimasti saldamente al timone di quella frangia indie più ricercata e intellettuale che nelle loro fulgide invenzioni ha trovato alcune delle sue espressioni più convincenti degli ultimi anni. Nulla a che vedere con le indimenticate melodie di Frangers nè con le ricercatezze di And The Glass Handed Kites e Half The World Is Watching Me; eppure, attraverso una grande immediatezza e un gusto stilistico come sempre da tramandare ai posteri del Pop, i Mew sono riusciti ad andare avanti senza perdere colpi. E se ne hanno persi sono stati davvero pochi.