:
Dez Fafara – vocals
Jeff Kendrick – guitar
Mike Spreitzer – guitar
Jon Miller – bass
John Boecklin - drums
:
01. Pray For Villains
02. Pure Sincerity
03. Fate Stepped In
04. Back With A Vengeance
05. I've Been Sober
06. Resurrection Blvd.
07. Forgiveness Is A Six Gun
08. Waiting For November
09. It's In The Cards
10. Another Night In London
11. Bitter Pill
12. Teach Me To Whisper
13. I See Belief
Pray for Villains
Senza compromessi, senza coercizioni, senza cedimenti: i Devildriver sono l’incarnazione stessa dell’indipendenza artistica, del talento più rabbioso e radicale, di scelte creative dovute soltanto a reali conati interiori, in nulla condizionati da quelle lusinghiere trame artificiali che la specie umana chiama economia. Strano destino, quello di questa feroce formazione metal di Santa Barbara: incontratisi durante le registrazioni di Dark Days, ultimo album dei lontani Coal Chamber che il futuro leader dei Nostri stava meditando di abbandonare per via di un’evoluzione stilistica poco consona alla sua indole anarchica, nessuno di loro avrebbe mai immaginato di dare vita ad una creatura tra le più riconoscibili ed apprezzate dell’intero panorama extreme metal. Consolidatasi nel tempo come una delle più intransigenti e irriverenti realtà del metal internazionale, la vulcanica band di Dez Fafara rappresenta alla perfezione l’ala più estrema del pubescente movimento groove metal, in tutto e per tutto debitore ai bellicosi Pantera: di questi ultimi, i DevilDriver hanno saputo rielaborare in maniera arcigna e virulenta sia le partiture ritmiche, estremizzandone al massimo i martellanti pattern di batteria (in certi frangenti riecheggiano le roboanti sferragliate dei conterranei Slayer), sia le linee vocali, imponendo una modalità di espressione vagamente nu (sotto questo aspetto incombe lo spettro minaccioso degli Slipknot) che riassume ed esalta al contempo la diabolica oscurità del growl e la straziante cattiveria dello scream. Tutto quanto concorre a plasmare un’ambientazione strumentale di drammatica potenza, un vero e proprio gorgoglìo di aggressività, veemenza, ira, in grado di esprimere con la massima evidenza dei sensi qualunque forma di pulsione vendicativa e di istinto irrefrenabile.
Pray For Villains, ultimo ritrovato della band californiana, sintetizza alla perfezione quanto espresso finora: la sequenza delle tracce contribuisce a dar vita ad una esaltante guerra di logoramento fra musica ed ascoltatore, nella quale quest’ultimo si ritrova nella più disperata solitudine, in una desolata e fumante terra di nessuno, vittima consapevole di distorsioni asfissianti, riffs affilati, blastbeats a tappeto e linee vocali nervine che lacerano i timpani al solo grugnire iniziale. La studiata alternanza di momenti più cupi e contorti con altri maggiormente dinamici e vibranti, per quanto non modifichi in nulla le intenzioni di un album che fa della più rigida compattezza la sua arma finale, certamente facilita la sopravvivenza della propria voglia di proseguire l’ascolto, duramente provata dall’incedere massiccio e minaccioso di ogni singola traccia. Quest’ultime, dal conto loro, riescono a differenziarsi in maniera quasi imbarazzante pur senza uscire dai canoni precedentemente definiti, ogni volta rielaborandoli in maniera diversa, stupefacente, disarmante: l’opener Pray For Villains, ovvero la titletrack, concentra la sua essenza più intima nel chorus oscuro, stridente, dalle accese sfumature noir ma con un tocco di freddezza urbana che solo la sua melodia serpeggiante riesce a domare e saziare; Pure Sincerity, invece, è la negazione della luce, è la prigionia della dolcezza, è un tripudio asfissiante di distorsioni, deludente sì, ma maestosa e pragmatica nel modo in cui riesce a far contorcere l’ascoltatore, la cui volontà di rifuggire questa inebriante tortura rimane inerme a subirne l’interminabile inerzia; Fate Stepped In folgora di nuovo per il suo inciso di metallica matrice industrial, martellante, marziale, imponente, concedendoci, pochi istanti dopo, l’insperata tregua di un intermezzo centrale di puri arpeggi di chitarra; Back With A Vengeance è un vortice temporale che catapulta nella dimensione heavy/southern dei padrini Pantera e, non fosse per un refrain forse poco incisivo ed incalzante, costituirebbe un perfetto manuale del groove metal old style; I’ve Been Sober, annunciata da pochi tocchi d’atmosferica sospensione, varca i labili confini della New Way Of American Heavy Metal sulle ali di un crescendo inesauribile in cui tastiere e intrecci alle 6 corde si sospingono vicendevolmente fino al chorus, accattivante e tutt’altro che ruffiano; Resurrection Blvd. ritorna alla base esplodendo in un chorus catartico di straordinaria efficacia e prontamente cede il passo alla più tetra Forgiveness Is A Six Gun, al di sotto della quale si trascina un riff oscuro che ansima di doom; Waiting For November si nutre di un mood epico cui si oppone con altera fierezza It’s In The Cards, un angolo dark dai mutevoli risvolti industrial la cui trama di chitarra, sinistra, capricciosa, inquietante, prelude ad un assolo luminescente di inattesa raffinatezza melodic metal; Another Night In London esplora i polverosi territori dell’heavy/hard rock, tronfia di un finale tanto vanitoso quanto roboante, e subito lascia spazio alla munifica Bitter Pill, il cui preludio gothic di chitarre e violoncelli non fa che invogliarci ad un seguito dilagante almeno quanto la successiva Teach Me To Whisper, gioiello assoluto dell’intero platter; ultima, I See Belief sembra rendere nuovamente ossequio alla nobiltà tecnica del melodic death metal, il cui apice centrale si abbandona ad una sequenza di assoli al limite fra solenne autocelebrazione e smaccata forzatura.
Per quante parole si possano spendere per un simile (capo)lavoro, è probabile che mai si riuscirebbe a descriverlo nella maniera più reale e sanguinante possibile: si potrebbe certamente aggiungere che la produzione è pressoché impeccabile, per equilibrio fra le parti oltre che per esaltazione dei singoli strumenti; si potrebbe proseguire che il sound è naturale e cristallino e non offre mai scampo a fastidiose sensazioni di artificialità; si potrebbe persino concludere che la disposizione delle tracce esprime una coesione complessiva che sembra risaltarne reciprocamente gli aspetti distintivi, mantenendo sempre accesa e inalterata la tensione emotiva; tutto quanto, però, sarebbe di assoluta evidenza, perché in questi specifici campi (e non solo) la RoadRunner Records è maestra per tutti. La verità ultima di Pray For Villains, invece, è che quasi certamente saprà deludere quanti si aspettano dai Devildriver un’evoluzione a nostro avviso innaturale, quanti pretendono un rinnovamento del loro repertorio tecnico e artistico, quanti si augurano che sappiano avvicinarsi a forme più sperimentali o, al contrario e ancor peggio, più canoniche, dimenticando consciamente che questa non sarebbe e non potrà mai essere la loro natura. Lungi dal cercare fastidiosi compromessi con frange di pubblico poco avvezze al metallo più fintamente commerciale, Dez Fafara e soci hanno saputo formulare la miscela perfetta per far saltare (le cervella) di gioia a tutti gli alternative/groove metallers del pianeta, il cui patrimonio genetico è frutto della mortale ricombinazione della crudezza Slayer, del groove Pantera, dei riffs Machine Head, dei martellanti rintocchi Fear Factory e della insinuante melodia Slipknot, caratteri perfettamente filtrati e iniettati in giuste dosi in questo micidiale Pray For Villains.
Giudizio finale, 9- : l'unico dettaglio non impeccabile dell'album è Pure Sincerity, a tratti davvero irritante; tutto il resto, nel suo genere, è eccellenza allo stato puro. Grazie, DevilDriver.
Link per l'approfondimento: Track By Track in video intervista @ RoadrunnerRecords.com