Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Virgin
Anno: 
1973
Line-Up: 

- Mike Oldfield - chitarra acustica, basso, chitarra elettrica, Farfisa, Hammond, organo Lowrey, chitarre fuzz, glockenspiel, "honky tonk", mandolino, pianoforte, "Piltdown Man", percussioni, chitarra spagnola, "double speed guitar", timpani, violino, voce e tubular bells

Tracklist: 

1. Tubular Bells Pt. 1
2. Tubular Bells Pt. 2

Mike Oldfield

Tubular Bells

Pochi artisti o formazioni nella storia della musica internazionale possono vantare di aver lasciato un’immagine che richiami alla memoria la loro arte ed espressione: l’artwork di Tubular Bells, prima opera di studio del polistrumentista britannico Mike Oldfield, rappresenta un’icona indelebile ed immortale per generazioni di musicisti e di appassionati, che hanno trovato in questa pietra miliare datata 1973 non solo un semplice esperimento sonoro, ma una vera scuola di pensiero che ha profondamente segnato il panorama musicale. La filosofia di Tubular Bells non rimane infatti ancorata solo alla sfera strettamente compositiva, ma è la più viva testimonianza della bizzarra ed imprevedibile logica del mercato musicale negli anni Settanta.
E’ divenuta ormai celeberrima la vicenda della genesi discografica di Tubular Bells, rifiutato nel 1972 da innumerevoli etichette ed accolto solo dall’allora poco conosciuto produttore Richard Branson, desideroso di avviare il suo ambizioso progetto denominato Virgin.

Impossibile conferire un nome allo stile di Oldfield, capace di spaziare attraverso le mille sfaccettature del Progressive, dall’Art Rock al Canterbury, fino a giungere ai lidi della Psichedelia. Nelle due lunghe suite di cui Tubular Bells è costituito, Oldfield plasma un timbro ricco di preziosismi e di derivazioni sperimentali, che sanno equilibrare le distensioni oniriche di un certo Progressive e la vena psichedelica più acida e soffocante del periodo.
Il primo episodio di Tubular Bells è dotato di un incipit cristallino, circondato da un’atmosfera surreale che proietta l’ascoltatore in una dimensione temporaneamente soffusa prima di trascinarlo in un baratro più elettrico ed avvolgente.
Più di venti sono gli strumenti che Oldfield esibisce in questo tripudio di colori in cui è stata impiegata la tecnica di registrazione multilivello, capace di valorizzare ogni singola parte dell’opera; si deve sottolineare come Oldfield non abbia mezzi termini nell’elaborare i propri suoni, perché diverse sono le parti in cui prevale un’indole più Rock-oriented e sfrontata, sopita invece nelle reminescenze più cosmiche di parvenza quasi New Age solcate dalle splendide "tubular bells".
Non mancano comunque influenze sia dal filone Fusion/Jazz più proteso verso i meandri d’avanguardia, sia dalla formazione Folk dello stesso Oldfield, riscontrabile nella folle chiusura del lavoro, come a voler testimoniare l’assoluta aderenza del musicista alle proprie origini al di là dello sperimentalismo esibito.

Per ben 247 settimane Tubular Bells rimase nella chart inglese, consentendo l’ascesa della Virgin e dell’impero di Branson; sebbene il mercato odierno abbia assunto una connotazione ben differente da quello dell’ormai tramontato scorcio settantiano, risulta necessario sottolineare come la rara eccezione delle scelte di Branson abbia regalato alla storia della musica un intramontabile simbolo di un decennio e abbia aperto la strada del successo ad un pioniere in bilico tra passato e futuro.
Nonostante la presenza di alcune hit commerciali che rafforzeranno il responso del pubblico per Oldfield, nessun  album nella sua carriera poté raggiungere l’apice compositivo del disco del 1972/1973, capitolo che verrà citato da svariate formazioni delle epoche successive come uno dei cardini capaci di consolidare la coscienza musicale europea.

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