- Davide Merlino - vibrafono, marimba, loops, tamba
- Simone Prando - contrabbasso, basso elettrico, loops
- Riccardo Chiaberta - batteria, percussioni
1. Pinocchio X Strada
2. Quando Poi Vai Via
3. Blues 4 An Old Black Witch
4. La Strada Per
5. Macondo
6. Walkin' Elephant
7. Pentothal
Mu
Traendo ispirazione per il proprio moniker dal leggendario continente che migliaia e migliaia di anni fa avrebbe dovuto occupare la posizione dell’attuale arcipelago polinesiano, il progetto Mu, costituitosi a Verbania nel 2008, giunge alla pubblicazione del primo capitolo discografico, conciliando tradizioni musicali varie e disparate. Accostandosi alle sette tracce dell’esordio omonimo, si va incontro ad un sound in perfetto equilibrio tra raffinate divagazioni Jazz, reminescenze avant-gardistiche ed eleganti punte di elettronica, che sanno cullare l’ascoltatore in un onirico viaggio all’insegna della musica strumentale.
La voce narrante del disco è raffigurata dalle linee magiche e metalliche del vibrafono, che guida sapientemente ciascun capitolo di Mu verso lidi sperimentali che non rimangono ancorati alla matrice Jazz ma che sanno abbracciare atmosfere soffuse cariche di dense architetture Post Rock.
Tra i pezzi maggiormente degni di nota spicca sicuramente il binomio Quando Poi Vai Via - Blues 4 An Old Black Witch, che trasforma un lento e meditativo vibrafono in una posata esplosione di colori a cavallo tra Jazz e Post Rock.
Altrettanto intrisa di una certa vena sperimentale è La Strada Per, completamente incentrata sui silenzi rotti dal tono tagliente e freddo del vibrafono; accompagnate da un tessuto ritmico ricco e variegato, le melodie emergono circondate da un’aura mesta ed intima, perfettamente ritratta dall’artwork naturalistico che introduce l’opera.
Mu rappresenta certamente un lavoro difficile da assimilare, adatto ad un pubblico maturo che desidera concedersi un istante riflessivo e rilassato a contatto con suoni incantati e gelidi, memori della scuola nordeuropea personificata dai vari Bjork, Sigur Ròs, Mùm e Piano Magic.
Sebbene i fraseggi elettronici siano pressoché sopiti e venga dato largo spazio ad una strumentazione acustica composta da contrabbasso e percussioni, il feeling che traspare in diverse sezioni dell’album è comunque riconducibile alla sfera compositiva delle formazioni che hanno conferito maggior peso all’ambito sintetico.
Unica nota negativa che è possibile rintracciare nel debutto dei Mu è costituita dalla leggera monotonia di diversi passaggi, sì carichi di improvvisazione ma incapaci di consentire una memorizzazione dei temi portanti da parte dell’ascoltatore.
In definitiva una discreta prova da parte di questo trio piemontese, che ha saputo plasmare un lavoro poco consono al panorama italiano e maggiormente legato ai meandri più cerebrali e ricercati dello scenario musicale europeo; un’opera come Mu riesce pertanto ad ambientarsi in modo efficace nel folto sottobosco sperimentale nazionale, ma è necessario uno slancio ancora più personale per superare quella ripetitività interna che permea innumerevoli album d’esordio.