Voto: 
5.9 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Candlelight Records
Anno: 
2009
Line-Up: 


- John Tardy - Voce
- Trevor Peres - Chitarra
- Ralph Santolla - Chitarra
- Frank Watkins - Basso
- Donald Tardy - Batteria      


Tracklist: 


1. List of Dead (03:34) 
2. Blood to Give (03:34) 
3. Lost (03:55) 
4. Outside My Head (03:52) 
5. Payback (04:29) 
6. Your Darkest Day (05:06) 
7. This Life (03:45) 
8. See Me Now (03:22) 
9. Fields of Pain (03:17) 
10. Violent Dreams (01:59) 
11. Truth Be Told (04:49)
12. Forces Realign 04:37 
13. Left to Die 06:20

Obituary

Darkest Day

Annoverati con merito tra i padri fondatori del death metal statunitense, gli Obituary dalla Florida sono sempre stati un modello da seguire per coloro i quali vedevano nel loro stile di suonare una coerenza che poche volte, si vedano molti altri gruppi, riusciva a passare indenne attraverso gli anni. Il loro stile putrido, inferocito ed il grugnito animalesco del mitico John Tardy presto diventarono gli elementi essenziali per mietere vittime tra gli appassionati del genere. Più volte la band fu accusata di un certo “immobilismo musicale” e devo dire non a torto, poiché la registrazione di un disco può variare negli anni ma lo stile di questa band rimane tutt’ora immutato dopo più di vent’anni. Tuttavia, ad un certo periodo della loro carriera ci fu un improvviso stop, preannunciato dalla raccolta dal nome Anthology uscita nel 2001. La band si prese un periodo di relax, vista anche l’allora ultima uscita in full-length Back From The Dead che non esaltò per nulla. 

Quattro anni dopo, gli Obituary ritornarono sulle scene e lo fecero con il buon Frozen In Time, anche se i picchi degli album passati erano appena sfiorati. Presto il chitarrista solista della band, Allen West, fu arrestato per risse provocate da abuso d’alcol e marijuana. Il suo posto fu preso da uno dei chitarrista maggiormente criticati nel death metal, ovvero Ralph Santolla con il quale gli Obituary diedero alle stampe il decente Xecutioner’s Return nel 2007. La scarsità d’idee si faceva sentire maggiormente e con questo nuovo album, Darkest Day abbiamo la conferma che gli Obituary sono in riserva già da un pezzo e che non riescono più a dare compattezza al loro suono. La band su quest’album si ostina a voler suonare una sorta di mid-tempo dalle chiare intenzioni morbose senza il tocco veramente cattivo ed oscuro degli album passati, facendo risultare il tutto come mero esercizio musicale con poche esplosioni di cattiveria che possono realmente colpire nel segno. 

Come di consueto, l’apertura del disco spetta al pezzo più tirato del lotto. List of Dead ci accoglie con la veemenza dei riffs e con gli up-tempo di batteria. Se mi permettete un’osservazione, ascoltate i vari breaks nei quali le partiture soliste di Santolla si fanno notare e non ditemi che non sono slegate in maniera incredibile dal resto della traccia. In ogni caso, avremo modo di riparlarne tra qualche riga per altre canzoni. Il lavoro svolto dal Donald Tardy dietro le pelli è ottimo e dona potenza grazie ai vari cambi di tempo, lasciandoci alle venerazioni in stile World Demise della successiva, incalzante Blood to Give. Le percussioni aggiungono una sensazione soffocante alla musica e lo so che a questo punto vi starete chiedendo il perché della mia introduzione sfiduciosa al disco quando sto qui a tesserne le lodi. Ve lo spiego subito perché basta ascoltare il piattume di tracce come Lost, Outside my Head e Payback per capirlo.  

Una lunga serie di riffs spenti ed insipidi, ripetuti all’infinito presto prende possesso delle nostre orecchie e pare persino difficile immaginare la band districarsi attraverso cotali strutture senza fare confusione tra di esse, vista la loro quasi totale mancanza di idee. John Tardy pare stanco su queste tracce e la sua voce non ruggisce come durante i pezzi veloci. Ora, non è mia intenzione esaltare solamente le tracce veloci, poiché adoro il riffing putrido e doomy degli Obituary, ma solo quando ci trovo belle idee dentro! Ad esempio, la title track si differenzia un po’ in termini di fantasia pur non spostandosi una riga da quanto fatto finora. Tuttavia, la morbosità del sound è più evidente e se volete ascoltare un pezzo leggermente più dinamico dovrete aspettare la successiva, carina This Life (danneggiata dagli inutili virtuosismi da parte del prevedibile e fastidioso Satolla) o l’improvvisa accelerazione della sezione centrale di una See Me Now altrimenti troppo monotona.  

Il riempitivo Fields of Pain, che viaggia su binari ultra lenti, presto viene spazzato via dalla brutalità di una tutto sommato decente Violent Dreams che non delude in termini di velocità ma che in ogni caso non mostra idee esaltanti. Ed in questo modo proseguiamo il disco, alternando l’inutilità di Truth to Told alla dinamicità riacquisita di Forces Realign (in questo caso gli assoli si fanno leggermente più canonici, anche se non mancano i soliti “guitar wankery” che non sono per nulla un complimento per chi mastica un po’ d’inglese). Questi quasi eterni 52 minuti di disco vengono terminati con la macabra e abbastanza riuscita Left To Die, la quale riesce sporadicamente a darci un sussulto e a farci tornare in mente periodi migliori della band, nonostante la durata eccessiva. A questo punto forse sarebbe meglio che gli Obituary si concentrassero solamente sull’attività live ed evitare di giocare un gioco troppo rischioso, in altre parole continuare a pubblicare album che potrebbero essere potenzialmente disastrosi. Non è ancora il caso di questo ritorno, tuttavia la “tragedia” potrebbe essere dietro l’angolo e i primi segni si sentono eccome.

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