Leonard Cohen - chitarra, voce, testi
1. Suzanne (3:47)
2. Master Song (5:58)
3. Winter Lady (2:14)
4. The Stranger Song (5:05)
5. Sisters of Mercy (3:30)
6. So Long, Marianne (5:37)
7. Hey, That's No Way to Say Goodbye (3:05)
8. Stories of the Street (4:35)
9. Teachers (2:58)
10. One of Us Cannot Be Wrong (4:25)
Songs of Leonard Cohen
Leonard Norman Cohen, nato nel 1934 in Canada da una famiglia ebrea, è stato uno dei massimi folksinger americani, inventore di un nuovo tipo di canzone e abbattitore di molte mura separanti la musica popolare dalla letteratura colta.
Durante il periodo di studi alla Herzliah High School, frequentata assieme al poeta Irving Layton, Cohen impara a suonare la chitarra e mette in piedi un modesto gruppo country-folk, ma la sua vocazione principale diventa la poesia una volta entrato alla McGill University; appassionatosi in particolar modo a William Butler Yeats, Walter Whitman e Henry Miller, Cohen scrive e pubblica due raccolte di poesie, Let Us Compare Mythologies (1956) e The Spice-Box of Earth (1961).
Dopo aver frequentato per un anno la Columbia University, Cohen si ritira nell'isola greca di Hydra, per concentrarsi sulla propria carriera letteraria evitando le influenze frenetiche del mondo moderno; durante questa parentesi meditativa, scrive la raccolta di poesie Flowers for Hitler (pubblicata nel 1964), ma anche i due romanzi The Favourite Game (1963) e Beautiful Losers (1966).
Incoraggiato da alcuni conoscenti, Cohen decide subito dopo di tentare la carriera del songwriter: dopo aver militato brevemente nella Factory di Andy Warhol, riesce a sfondare scrivendo la hit Suzanne per la folksinger Judy Collins.
Ottenuto un contratto discografico, il cantautore dà alla luce il primo album Songs of Leonard Cohen (registrato nell'agosto 1967, e pubblicato nel dicembre dello stesso anno dalla Columbia Records), che si rivelerà per una serie di motivi come uno dei dischi folk più unici e influenti del periodo.
Mentre difatti tutta la musica popolare si stava muovendo verso territori sempre più barocchi e stratificati a causa della febbre psichedelica, compresi i folksinger presto contaminati dallo psychedelic-rock (novità proprio degli ultimi tre anni era stata la nascita delle ale folk-rock e psych-folk/freak-folk, catalizzata e rappresentata soprattutto dai recenti lavori di The Byrds, Bob Dylan, The Fugs, Buffalo Springfield, Pearls Before Swine, The Godz, The Holy Modal Rounders e Donovan), Cohen diventa forse il primo in assoluto a marciare in direzione opposta, denudando il suono da ogni eccesso e ritagliando tramite ciascuna canzone una timida nicchia privata. Influenzato tanto dai folksinger pre-dylaniani (dai quali riprende il respiro universale dei testi e l'importanza delle parole sulla musica) quanto dai contemporanei cantautori più sofferti (da Johnny Cash a Fred Neil), ma anche dal chansonnier belga Jacques Brel (una delle principali influenze in generale sui folksinger del periodo, come aveva già testimoniato anche il primo disco di Scott Walker uscito pochi mesi prima), Cohen si distingue dai suoi colleghi per il rifiutare ogni soluzione estroversa e vivace, coniando una forma di canzone folk intimista, confessionale, fragile e introversa, privandola di battiti ritmici ed elevandola attraverso testi che si distanziano dalle prese di posizione della "protesta" per esprimersi piuttosto attraverso un linguaggio poetico fortemente simbolico.
I toni dimessi e oscuri della chitarra, uniti alle liriche metaforiche e indirette, alla voce baritonale fragile ed emozionata, e all'assetto minimale dai toni mistici in fase d'arrangiamento, contribuiscono in effetti a creare una nuova formula folk, la cui caratteristica è trasformare ogni composizione in una piccola esperienza catartica e spirituale, oltre a costituire artisticamente un'ennesima dimostrazione dell'assoluta maggiore importanza delle capacità espressive rispetto a quelle tecniche.
Tutte le dieci tracce dell'album sono memorabili, ma riesce a spiccare in particolar modo la già citata Suzanne (elevata verso una dimensione celestiale grazie al soffuso ingresso di archi e cori vocali femminili), assieme alle seguenti Master Song (in cui gli archi diventano più nervosi e inquietanti), Winter Lady (avvolta da un tappeto di chitarre acceso da lontani accordi alle tastiere e un timido flauto) e Sisters of Mercy (con una delle sue melodie più memorabili, avvolta da un arrangiamento da vaudeville, ereditato dalla tradizione dei chansonnier europei, che passa da un canale all'altro restando sempre sullo sfondo), tutte annoverabili tra i più innovativi, profondi ed eleganti folk dell'epoca.
A bilanciare gli unici due episodi non eccelsi, ovvero Hey, That's No Way to Say Goodbye (una sorta di versione alternativa, stavolta più vicina al folk-rock, della precedente Suzanne) e Stories of the Street (il folk più canonico e influenzato da Dylan), si susseguono invece le ottime The Stranger Song (guidata da una chitarra mesmerizzante), So Long, Marianne (il momento più vivace e folk-rock, anche se immerso ancora una volta nella malinconia), Teachers e One of Us Cannot Be Wrong (che chiude il disco con una dimessa melodia fischiettata sopra alcuni cori sgraziati).
L'impatto di Cohen si avverte immediatamente sul panorama musicale, specie nei subito successivi lavori di Pearls Before Swine (che riducono le influenze psichedeliche e pubblicano nel 1968 il loro capolavoro Balaklava), Tim Buckley (nei momenti più folk dell'album Happy Sad, del 1969), Laura Nyro (nel suo più introverso e minimale lavoro New York Tendaberry, del 1969), del folksinger italiano Fabrizio De André (specie in La buona novella, del 1970), e qualche anno più tardi perfino del maestro Dylan (con i folk acustici e intimisti di Blood on the Tracks, del 1975).