Diablo – Lead & Rythm Guitar
Gabry-hell – Vocals
Nicoz – Bass
Andy K – Drums
1. Monster Idiot
2. Bloody Velvet
3. Tropical Disease
4. Big Town
5. Broken Silence
6. Too Bad
7. Joker
8. Smoke This
9. Acid Rain
10. Gangster
11. Demolition Man
Gain
Secondo tassello per la Street Symphonies Records che dopo aver incastrato i bravissimi Johnny Burning stavolta punta dritto dritto ai Killer Klown, nuovo progetto nato dalla chitarra di Andrea Martongelli (famoso per la sua attuale militanza negli italiani Arthemis e negli inglesi Power Quest), offrendo la possibilità di presentarsi con quest’album dal nome Gain.
La sorpresa è quindi a metà, non solo per il nome dell’artista conosciuto nella scena e per il percorso ormai solcato dalla casa discografica (nel nome del glam e dell’hard rock più cattivo e più “sleazy”), ma anche per l’attinenza, esclusivamente in ambito sonoro, con quanto partorito talvolta dagli Arthemis: riff corposi, meno power dei fratellastri inglesi ma molto più orientati al glam ed un atteggiamento stradaiolo che a noi non può far altro che piacere. Eppure ciò che davvero permette ai Killer Klown di far parlare di sé è l’approccio molto rock ‘n’ roll che si rifà ai maestri del genere (Guns ‘n’ Roses con uno spruzzatina di Motley Crue e Skid Row), a partire dalla voce di Gabry che come una goccia d’acqua si specchia in quella di Axl Rose, non disconoscendo nemmeno un Bon Jovi più maturo, fino ad arrivare allo stesso atteggiamento hard rock di Slash e company.
L’idea è chiara fin dalle prime note di Monster Idiot, ma la conferma eclatante giunge con Bloody Velvet ed il suo effetto “wah-wah” classico in quegli anni d’oro: stile tanto incandescente quanto conosciuto. Ma l’intento dei KK non è quello di stupire con innovative interpretazioni heavy, bensì quello di proporre un rock classico, duro, d’impatto e di qualità (ultimi due aspetti che non sempre vanno a braccetto) e l’obiettivo può dirsi raggiunto anche grazie alla cura dei chorus e degli arrangiamenti che impreziosiscono l’album.
Molto più accattivante e matura anche in termini radiofonici è la sfrecciante Tropical Disease, trascinante, semplice ma non superficiale, pronta a richiamare l’headbanging più sfrenato che non teme “stop” nemmeno alla consegna della staffetta a Big Town: assoli precisi (non avevamo dubbi) e note incastrate l’una nell’altra, peccato solo per il basso a suo agio nelle vesti di accompagnatore di melodie opzionate dagli altri (avremo sognato qualche intervento alla Michael "Duff" McKagan).
In Joker la chitarra di Andrea fa un pò il verso all'eclettico Steve Vai senza però tentare alcun termine di paragone e rintanandosi nell’hard rock tipico della propria sei corde capace di innalzare il brano a pezzo irrinunciabile dell’intero Gain, con una prova vocale tra l’altro per niente banale. La bellezza dell’album è data dall’assenza di picchi: non esistono tracce scritte col cuore ed altre scritte per puro lavoro, ma le undici songs scorrono alla stessa altezza e la godibilità lascia soddisfatti anche nel caso delle più pacate Broken Silence e Smoke This.
E mentre l’ombra dei Santi di Los Angeles ci perseguita guardandoci da lontano, ci teniamo pronti ad affrontare le ultime due curve dal nome Gangster e Demolition Man, sicuri già da prima di trovare il medesimo sound; nella seconda il mood si fa davvero grezzo e stoppato lasciando al sipario il compito di chiudere le scene e trasmetterci una gran voglia di vedere questi ragazzi dal vivo. Da seguire.