- David Condon – Basso e Voce
- James O' Ceallaigh – Chitarra, Voce e Synth
- Barry English – Batteria
Ospite:
- Nathan Misterek – Voce
Earth:
1. As a Womb (12:03)
2. As a Furnace (15:00)
Through the Collapse:
3. Watchers Restrained (9:48)
4. Gentian Truth (13:10)
White Tomb
Earthly connections have been lost; everything is draining of character and colour.
A White Tomb remains.
L'inizio di 2009 della Profound Lore è qualcosa di sinceramente esaltante.
Ad un solo mese di distanza dalla pubblicazione dello splendido “Gin” dei Cobalt, l'etichetta canadese sputa fuori un altro lavoro di qualità superba, il cui titolo è “White Tomb” e i cui autori sono i debuttanti irlandesi Altar Of Plagues.
Nonostante la provenienza europea di questo trio, tuttavia, è nuovamente la scena estrema d'oltre-Atlantico a brillare (di riflesso) in questo disco, in quanto le influenze della giovane e promettente band di Cork vengono praticamente tutte dagli Stati Uniti.
Gli Altar of Plagues suonano infatti un Black Metal moderno ed ibrido, sulla cui base vanno ad innestarsi una quantità di sfaccettature e influenze disparate, ben amalgamate da un concept ecologista e post-apocalittico che tratta della decadenza e del futuro collasso della natura sul pianeta Terra, con la figura del fiore di genziana (omaggiata in particolare nel finale di disco) a simboleggiare la bellezza, l'energia e la vitalità della Natura contrapposta al sempre più imperante assalto devastatore dell'Uomo.
Le tematiche ambientaliste fanno correre immediatamente il pensiero agli americani Wolves in the Throne Room, e non a torto: anche musicalmente, infatti, gli Altar of Plagues si avvicinano a quanto prodotto dalla band dei fratelli Weaver, in particolare nella prima delle due suite di cui è composto “White Tomb”. Il brano “Earth” (ventisette minuti divisi in due parti) presenta infatti un Black atmosferico di grande impeto ed espressività, modellato sull'esempio dei migliori brani del già citato gruppo americano, con una lunga coda ambientale corredata di arpeggi chitarristici a metà tra lo Sludge e gli ultimi Earth a concludere un “primo tempo” dall'impatto pienamente soddisfacente.
La musica cambia durante la seconda metà del disco, composta dai venti minuti di “Through the Collapse”, anch'essa suddivisa a sua volta in due parti – nella prima, “Watchers Restrained”, gli Altar of Plagues iniziano nuovamente con il piede sull'acceleratore, ma poco dopo modificano nettamente la loro proposta virando su sonorità Doom Metal taglienti, soffocanti ed angolari, nettamente debitrici del sound dei Khanate ed ulteriormente inasprite dalla prestazione molto Dubin-iana del vocalist ospite Nathan Misterek, ex-frontman della Doom Metal band Graves at Sea.
Dopo un nuovo intermezzo Industrial, a emergere nell'ultima parte del disco (“Gentian Truth”) sono invece venature Post-Rock (peraltro presenti in tutto il lavoro) che unite alla metallicità 'pensante' del gruppo irlandese spostano il suono di quest'ultimo brano verso territori accostabili al Post-Metal più liquido e scintillante dei migliori Isis o Pelican, ingentilito però da alcuni inserti corali puliti dai toni eterei e soavi, rappresentanti proprio quella speranza di ciclica rinascita di cui, per il gruppo irlandese, la genziana si fa simbolo.
Pur con gli innegabili 'debiti' stilistici evidenziati poco sopra, gli Altar of Plagues sono riusciti a fare un disco interessante, ricco, coinvolgente ed emozionante – si può chiedere un tocco di personalità di più, certo, ma come non accontentarsi di tanta bellezza, tenendo anche in considerazione che siamo di fronte ad un disco di debutto e che la fetta maggioritaria della scena Black Metal ricopia ancora più pedantemente schemi ben più vecchi e logori di quelli cui si ispirano gli Altar of Plagues?
Insomma, lo sviluppo di uno stile veramente “proprio” è sicuramente necessario alla band di Cork per diventare leader del settore, ma le premesse per un futuro di spessore ci sono, e la musica del gruppo è decisamente godibilissima fin da ora.
Tra le nuove leve del Black 'sperimentale' europeo (più geograficamente che musicalmente, come detto), una delle più meritevoli.