- Chris "Ashtrael" Bonner - voce
- Martin "Sathonys" Wickler - chitarra, cori clean
- Jan Jansohn - chitarra
- Till Ottinger - basso
- Manuel Steitz - batteria
- Felix Ü. Walzer - tastiera
1. Heliopolis (04:36)
2. Devil's Deal (04:33)
3. Decline (05:33)
4. Ground Zero (04:47)
5. Ghost Of A Soul (04:30)
6. Winterchild (05:34)
7. Time Is The Fire (04:59)
8. To Our Ashes (06:40)
9. Amongst The Vultures (03:22)
10. Oncoming Storm (06:26)
11. Throughout The Fields Of Unshaded Grace (05:10)
12. Grey Whisper (06:50)
Phoenix
Il periodo di crisi stilistica che ha investito gli ambiti più commerciali del Black Metal sembra aver colpito anche i tedeschi Agathodaimon, da sempre considerati tra gli esponenti più di spicco nella scena underground del Black sinfonico europeo. I costanti cambi di line-up e la conseguente scarsa coesione della band hanno ostacolato il processo di song-writing da parte del gruppo originario di Meinz, non consentendo di replicare i fasti degli anni sotto Nuclear Blast.
Le soluzioni intraprese su episodi come Higher Art Of Rebellion e Chapter III sembrano ormai lontane, perché il rinnovato sestetto tedesco si è distanziato dalla componente più Black del passato, cercando con il quinto album di studio Phoenix di concentrarci sugli elementi gotici ed elettronici.
Il risultato di questa sperimentazione è il raggiungimento di un sound a cavallo tra i peggiori Cradle Of Filth ed i Sirenia, che stupisce negativamente per l’estrema povertà di idee e per l’appiattimento generale subito dagli Agathodaimon. Riescono infatti solo a distinguersi per efficacia ed eleganza alcuni brevi intervalli atmosferici, frutto della mente di Martin Wickler, unico rimasto della line-up originaria e storico componente dei defunti Nocte Obducta.
Al di là dell’insignificanza della gran parte del tessuto musicale, fatto di assoli o di epiche cavalcate che tentano di emulare le realtà scandinave, il problema principale si riscontra in un approccio vocale totalmente arido ed immaturo da parte del nuovo cantante Chris Bonner.
Gli Agathodaimon con Phoenix sembrano essersi tramutati in un prodotto commerciale di grande consumo, che possa essere apprezzato da chi si accosta in modo inesperto alle sonorità più “estreme” del Metal, senza aver scavato nel passato sia della band tedesca, sia soprattutto di una meritevole scena europea degli anni Novanta.
Già dall’opener Heliopolis traspare questo nuovo feeling, rappresentato dall’alternanza di mid-tempo arricchiti da uno sfrenato uso della doppia cassa e di vacui intermezzi elettronici che risultano sospesi e senza alcuna connessione con l’anima della formazione.
Non si può certamente parlare di Black Metal per un capitolo come Phoenix, perché tracce come Devil’s Deal o Ground Zero sono accomunate al genere solo dall’orribile scream che costituisce il filo conduttore dell’album.
Sebbene siano presenti spunti di un certo spessore in brani come il terzo Decline (l’interludio centrale di pianoforte) o il conclusivo Grey Whisper, dotato del fascino dei precedenti lavori di studio, essi vengono vanificati dalla dimensione pseudo-gotica che gli Agathodaimon forzano costantemente: basti accostarsi ad Oncoming Storm per comprendere come i lidi dei vari After Forever e Sirenia siano ripercorsi in modo più insapore ed immaturo.
Dispiace pertanto constatare che il lavoro compiuto dai musicisti che tra gli anni Novanta e l’inizio dl Duemila hanno contribuito al progetto Agathodaimon sia stato offuscato e sminuito da un disco privo di gusto ed apparentemente improvvisato (nonostante la lunga assenza della band dalla scena musicale internazionale).
Si consiglia quindi di passare oltre a questo insipido capitolo discografico di un act che sembra aver esaurito tutte le sue potenzialità e che sembra essere ormai inscritto nell’ottica dei timbri commerciali di basso livello, perché i panorami Black Metal o Gothic Metal sono colmi di altermative ben più convincenti.