- Patrick Mameli - Chitarra, Voce
- Tony Choy - Basso
- Peter Wildoer - Batteria
1. Devouring Frenzy (02:54)
2. Horror Detox (03:20)
3. Fiend (03:29)
4. Hate Suicide (04:18)
5. Synthetic Grotesque (03:57)
6. Neuro Dissonance (03:28)
7. Dehydrated II (03:47)
8. Resurrection Macabre (03:47)
9. Hangman (02:52)
10. Y2H (03:39)
11. In Sickness & Death (05:00)
Resurrection Macabre
Ci si può ricordare benissimo di quando il frontman del gruppo olandese Patrick Mameli disse apertamente che una futura reunion dei Pestilence sarebbe stata una cosa improponibile. Di tempo non n’è passato molto eppure pressioni e buoni contratti hanno fatto in modo che il nostro musicista cambiasse presto idea. Resurrection Macabre è il prodotto partorito per il ritorno sulle scene di una delle band europee più importanti nel genere. Anni fa li avevamo lasciati con l’inflessione progressive/jazz dell’album Spheres, datato 1993, album importantissimo per quanto riguarda l’esplosione del genere all’inizio degli anni 90. Tra l’altro, non possiamo dimenticarci i lavori di band del calibro di Cynic e Atheist che uscirono negli stessi anni al fine di contendersi la scena del periodo.
Atteso da molti e fonte di paura per altrettanti, il nuovo lavoro dei Pestilence non esalta, ma non fa neanche pietà. La volontà di ritorno alle origini è più forte che mai e questo è palese, vista la ferocia che i Nostri riversano su quest’album. Ciò farà incredibilmente piacere per quelli che si erano fermati al 1989 con il grande Consuming Impulse; d’altro canto però non possiamo non notare una certa aridità d’idee per quanto riguarda alcuni tasselli in quest’album; per poi non parlare della scelta molto discutibile riguardante i musicisti che potessero affiancare il progetto di rinascita. Diciamolo chiaramente, che cosa c’entra il drumming progressivo e fin troppo veloce di Peter Wildoer? Costui, uno dei migliori batteristi death/thrash Svedesi non ci azzecca niente nel Pestilence “style”. Il ritorno alle radici non significa gettare blast beats a destra e a sinistra senza logica. Il mitico Foddis si metterebbe a ridere nel sentire riffs di vent’anni fa affiancati a blast beats che sembrano uscire da un disco dei Darkane.
Altra, diciamo così, nota dolente è Tony Choy. È inutile dare spazio ad un tale musicista se poi il mixaggio dell’album esalta in minime dosi le sue partiture. Sinceramente certe scelte mi lasciano basito, ma ora addentriamoci nei meandri di questa “rinascita” al fine di donare una maggiore importanza alla descrizione della musica qui prodotta. Devouring Frenzy è una mazzata incredibile di puro death metal con riffs marci e selvaggi, ma sin da qui potrete anche capire immediatamente lo scontrare a dir poco improponibile dei blast beats con riffs volontariamente datati. La voce di Mameli è malata, sofferta e di questo non mi posso lamentare assolutamente. Le partiture soliste di chitarra sono veloci e dissonanti; proprio come la band era capace di fare venticinque anni fa. Horror Detox è notevolmente più coinvolgente per quanto riguarda l’uso dei classici up tempo di batteria e, guarda caso, questa canzone rimane tra le più interessanti e memorizzabili del lotto.
Il tocco decisamente più anni 90 di Fiend lascia il tempo che trova poiché la ripetitività la fa da padrone e le lunghe sezioni progressive da parte della chitarra non esaltano, per poi non parlare dei soliti martellamenti inutili della batteria. Segue il tocco decisamente alla Morbid Angel di Hate Suicide, mentre Synthetic Grotesque ci riporta sui binari giusti. La batteria non è quasi mai eccessiva e la ripetitività dei riffs non infastidisce, vista la loro bontà e la loro vena “eighties”. Neuro Dissonance non è male durante le sezioni a base di veloce doppia cassa, tuttavia cade nella banalità delle parti dissonanti e più impulsive dove, ancora una volta, i Morbid Angel sembrano dettare legge. Arrivati a Dehydrated II ci si chiede se fosse veramente necessario fare una continuazione musicale di codesta canzone. Per carità, i riffs qui diventano maggiormente legati al passato anche se neanche i Pestilence stessi potranno mai battere la furia incontrollabile della versione 1989 e non ci sono blast beats che tengano.
Resurrection Macabre è una lenta marcia di groove incarognito e putrido, con riffs catacombali e improvvisi ritorni alla velocità. Il basso è maggiormente presente nella sezione centrale che vede la ripresa d’atmosfere sulfuree, accompagnate dai soliti assoli grotteschi e dissonanti. Hangman è fin troppo slegata per quanto riguarda l’opposizione di parti veloci con rallentamenti al limite del doom. Y2H è scialba, elementare e utilizzata come semplice riempimento, prima dalla finale In Sickness & Death che guadagna qualche punto essendo un tantino più forte nelle strutture con una varietà di riffs meglio espressa anche se le ripetizioni non mancano, mettendo ancora una volta a dura prova la resistenza dell’ascoltatore.
Dovendola dire tutta, la “resurrezione” dei Pestilence é un’opera a metà. Ci troviamo al cospetto di un album death metal senza fronzoli e senza pietà, ma le idee mancano in più parti. Molte canzoni sono elementari, deboli e puntano tutto su due riffs incollati alla bene e meglio senza che si riesca ad arrivare a qualcosa di veramente esaltante. I Pestilence targati 2009 sono questi, prendere o lasciare.