:
- Charlotte Wessels - voce
- Ronald Landa - chitarra, voce
- Rob van der Loo - basso
- Sander Zoer - batteria
- Martin Westerholt - tastiera
Guests:
- Marco Hietala - voce
- Maria Ahn - violoncello
- Guus Eikens - chitarra
:
1. April Rain
2. Stay Forever
3. Invidia
4. Control The Storm (feat. Marco Hietala)
5. On The Other Side
6. Virtue And Vice
7. Go Away
8. Start Swimming
9. Lost
10. I’ll Reach You
11. Nothing Left (feat. Marco Hietala)
12. Come Closer
April Rain
E’ pazzesco come talvolta la vita riservi sorprese a dir poco inattese, e come la musica sappia regalare soddisfazioni pressoché impensabili: di tutto questo i Delain sono esempio magistrale. Il progetto nato 4 anni or sono dalla volonterosa mente di Martijn Westerholt, ex tastierista dei celeberrimi Within Temptation, nasce come omaggio o risarcimento alla brusca interruzione della propria carriera musicale nelle fila della band orange, a causa di seri problemi di salute poi brillantemente superati: la nascita e la pubblicazione di Lucidity, nel 2006, sarebbero dovuti restare un episodio isolato, un doveroso tributo al valido tastierista olandese da parte dei più conosciuti e apprezzati esponenti della scena goth e symphonica internazionale, personaggi del calibro di Liv Kristine (Theatre Of Tragedy, Leaves’ Eyes), Sharon den Adel (Within Temptation, ovviamente) e Marco Hietala (Nightwish). Pur di indubbio valore tecnico e artistico (pezzi quali gli estratti Frozen e See Me In Shadow sono qui a dimostrarlo), soprattutto all’interno del proprio genere di appartenenza (quel symphonic metal dai chiaroscuri gotici che, così come lo swedecore in altri contesti, è diventato ben più di una corrente di nicchia esclusivamente olandese), nessuno mai avrebbe immaginato un successo di proporzioni considerevoli, al punto tale da sconvolgere i piani dello stesso Westerholt (ormai rassegnatosi ad abbandonare ogni proposito di resurrezione all’interno di una propria band, e dedito soltanto a comparsate e attività da producer) e convincerlo a trasformare i Delain in una nuova, notevole creatura musicale: richiamata in toto la line up che aveva supportato il keyboard-man tulipano nella sua precedente avventura (con la sola eccezione del chitarrista Ray van Lente), più che confermata la graziosa vocalist belga Charlotte Wessels, la formazione orange si presenta oggi sulla scena metal europea con rinnovate ambizioni ed una compattezza ed una consapevolezza delle proprie potenzialità estremamente solide, che traspaiono sin dalle prime note dell’eccellente April Rain.
Ciò che lascia davvero soddisfatti, all’ascolto di quest’ultimo interessante lavoro, è la spontaneità esilarante che sembra sgorgare da ogni singola traccia, la gioia ludica e spensierata di chi ancora suona per passione e, con ogni probabilità, mai si sarebbe aspettato di ricevere tanti meritati consensi; è come se il ritrovato entusiasmo di Westerholt, comprensibilmente rinnovato dalle numerosi dimostrazioni di stima e affetto da parte di colleghi e soprattutto fans, abbia contagiato l’intera band al punto tale da filtrare ogni singola traccia con la leggerezza e la luminosità di chi, appena uscito dalla tempesta, vive ogni raggio di sole come un piccolo miracolo quotidiano. E’ una sensazione dirompente che riesce a trasmettersi dalle tracce all’ascoltatore con una facilità ed una naturalezza sensazionali, che si contrappongono nitidamente a quel disgustoso senso di artificialità che sempre più spesso tinge le produzioni musicali.
Dal punto di vista strettamente tecnico, April Rain si richiama ai più rappresentativi canoni del metal gotico-sinfonico di matrice fiamminga (magari contaminato con qualche groove sensibilmente rockeggiante), fondando ogni costruzione sonora sulla base di poderosi accordi di chitarra, esaltanti tappeti di tastiera e squisiti ricami di violino, il tutto valorizzato da un senso ritmico benignamente esasperato fino a livelli pop (la delicata On The Other Side su tutte). Forse è proprio a questo a deludere maggiormente, seppur in maniera piuttosto contraddittoria: è molto difficile riuscire ad individuare, a memoria, un pezzo più interessante da uno più noioso, in quanto gli stessi elementi costruttivi sembrano ripetersi in maniera pressoché identica da una traccia all’altra, le cui variazioni dipendono soltanto dalla quantità assegnata ai singoli momenti del disco. Ciò non significa che l’intero lavoro si mortifichi in un piattume sonoro presto estenuante, al contrario, tuttavia specialmente la secondo parte del disco, da Virtue And Vice esclusa in poi, sembra perdere quell’affabile piacevolezza che esaltava le tracce precedenti, e scivola via senza acuti particolarmente rimarchevoli, non fosse per il chorus dannatamente catchy di I’ll Reach You, la raffinata introduzione strumentale di Start Swimming o la dolcezza conclusiva di Come Closer.
Altro elemento che può lasciare parecchio perplessi è lo scarso utilizzo delle voci maschili, che certamente avrebbero conferito quel tocco di varietà e profondità armonica in grado di aumentare considerevolmente lo spessore dell’album: in primo luogo, pur in assenza di uno specialista del growl, stupisce come non sia stata valorizzata la buona prova offerta dal chitarrista Ronald Landa in Virtue And Vice, probabilmente il pezzo strutturalmente più vicino al precursore di April Rain, vale a dire il più che discreto Lucidity; in secondo luogo, la presenza di Marco Hietala risulta forse, solo ed esclusivamente dal punto di vista vocale, poco sfruttata e ancor peggio integrata, ma quest’impressione può derivare dal poco apprezzamento che chi vi scrive nutre nei confronti di questa precisa tipologia vocale, stridula e ben poco coinvolgente benché certamente aggraziata. Al contrario, ancora una volta si dimostra musicista di assoluto valore la straordinaria Maria Ahn, già presente 3 anni or sono, la cui nobile partecipazione conferisce fascino e calore sia ad un pezzo apparentemente banale come On The Other Side sia ad una traccia decisamente più complessa quale la già citata Virtue And Vice.
In definitiva, risulta evidente come i Delain si inseriscano alla perfezione nel filone gotico sinfonico dei Paesi Bassi, orfani dei padrini After Forever: è chiaro come il loro intento non sia assolutamente quello di ereditare il trono lasciato vacante da questi ultimi, ruolo cui tante band in precedenza hanno aspirato ma che puntualmente non ha trovato degni successori; tuttavia, la proposta musicale firmata da Martijn Westerholt si presenta con assoluta gradevolezza e con una semplicità di fondo mai eccessivamente sciocca, in virtù di una spontaneità emotiva che ancora emerge nonostante le insidiose esigenze del mercato discografico. Merito, ancora una volta, della lungimirante Roadrunner Records, che ha creduto sin da subito e a ragione veduta nelle potenzialità dei musicisti tulipani, investendo su un progetto sicuramente interessante ma dall’avvenire incerto per non dire a brevissimo termine, scelta per lo meno inusuale per una casa discografica che, nel proprio roster europeo, non vanta certo specifiche competenze in materia di metallo gotico o sinfonico. Il nostro augurio, quindi, è che i nostri 5 tulipani ottengano presto i riconoscimenti che meritano, e che soprattutto si dimostrino in futuro ugualmente fieri, coerenti e appassionati, perché è proprio questo, forse, il più grande pregio di un album coeso e avvolgente qual è April Rain.