- Ville Valo - voce
- Pätkä - batteria
- Mige - basso
- Linde - chitarra
1. Vampire Heart
2. Rip Out the Wings of a Butterfly
3. Under The Rose
4. Killing Loneliness
5. Dark Light
6. Behind the Crimson Door
7. The Face of God
8. Drunk on Shadows
9. Play Dead
10. In the Night Side of Eden
Dark Light
Quinta tappa discografica per gli H.I.M. di Mr Ville Valo.
A prescindere dal notevole successo dell’album all’uscita, fatto naturalmente prevedibile, il timore era di assistere ad un altro lavoro manifestamente votato al “è ora di rimpolparci il conto in banca” come il predecessore Love Metal. In realtà le più nere aspettative vengono subito brillantemente sfatate all’ascolto delle prime canzoni di Dark Light.
Abbandonando le sonorità scontate del capitolo precedente, gli H.I.M. fanno un passo indietro, tornando, se non allo stile “stridente” di Greatest Lovesongs Vol. 666, a un rock goticheggiante, forse essenziale e di facile ascolto, ma concreto e convincente, più simile ai tempi di Razorblade Romence. Le chitarre si fanno sentire, seppure non in maniera prepotente, appoggiate da una tastiera intelligentemente dosata. La voce di Valo arriva dritta al cuore, confermandosi come la vera protagonista nell’instaurare un dialogo vellutato con chi ascolta.
La marcia in più rispetto a Love Metal si manifesta subito all’ascolto della prima canzone, Vampire Heart, che presenta nella parte centrale uno stacco di chitarra piuttosto distorta, che aiuta a spezzare il ritmo e dare carattere al brano. Sulla stessa linea d’onda anche la seguente Rip Out the Wings of a Butterfly, il primo singolo dell’album, trascinante nel riff del ritornello, impreziosito dalla performance mozzafiato di Valo. Buone la tastiera e pregevole l’inserimento di un assolo in Under the Rose, anche se il ritornello si fa sentire un po’ troppo poppeggiante, come del resto anche nella titletrack.
E da qui in poi abbiamo un calo di tono notevole, le canzoni della seconda parte si fanno sentire un po’ tutte uguali, eccezion fatta per gli ultimi due brani: Play Dead riacquista la carica lirica delle prime tracce, mentre In the Nightside of Eden colpisce per lo sperimentalismo che sembra riaffiorare direttamente da Greatest Lovesongs Vol. 666 riscattando la piattezza dei brani centrali.
Un album dunque diretto, forse fin troppo omogeneo, non innovativo e che certo non si innalza a capolavoro, ma che si fa ascoltare più che piacevolmente. E se non altro, un prodotto che, al contrario del precedente, sembra fatto, qui e la, con un occhio sul cuore e sul carattere, non sul portafoglio.