Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Byron Davis – lead vocals
- Dallas Coyle – rhythm guitar, vocals
- Doc Coyle – lead guitar, backing vocals
- John Outcalt – bass
- Corey Pierce – drums

Tracklist: 

01. The Discovery (1:43)
02. The Rain (5:21)
03. Empire Of The Gun (4:43)
04. War Of Attrition (4:27)
05. The New Clear (6:36)
06. Shallow (3:31)
07. Walk Alone (6:14)
08. Bat The Angels (6:06)
09. Earthsblood (9:03)
10. Gaia (The Vultures) (7:17)

God Forbid

Earthsblood

Semplicemente maestoso: è così che potremmo sintetizzare il gusto atipico dei novelli God Forbid, i quali, giunti ormai al loro ottavo atto discografico (per la verità sarebbe il quinto, dati i 2 EP germinali e la provvida ristampa datata ormai 2007), estraggono dal loro sconosciuto cilindro un album dalle potenzialità imprevedibili e dalle sfumature quasi indecifrabili, a partire dalla feroce alternanza fra accelerazioni e rallentamenti derivata dal metalcore primitivo passando per la violenza cupa e massiccia ma mai soffocante propria del melodic death metal fino ad arrivare agli assoli eclatanti e voluminosi in perfetta NWOAHM, alla base dei quali giacciono poderose strutture thrash e leggerezza ritmica tipicamente groove. Earthsblood è dunque un lavoro estremamente variegato ed alquanto difficoltoso, poiché, impedendo qualunque approccio predeterminato (la loro affermata natura metalcore risulta fuorviante di qualunque aspettativa), rischia di valicare il labile confine che separa varietà da confusione, facendo sì che, anziché riuscire ad arrivare ad un maggior numero di ascoltatori, la conseguenza diretta sia quella di deludere anche i cosiddetti fan della prima ora. Come solitamente accade, in media stat virtus et, maxime, veritas, soprattutto quando un album necessita di numerosi ed attenti ascolti per essere compreso, se non proprio a fondo, almeno nella sua deliziosa complessità: ad un primo superficiale impatto, infatti, l’ultimo prodotto di casa Coyle potrebbe facilmente affondare nelle insaziabili sabbie mobili di quel genere ibrido che si colloca a metà fra il metalcore più potente, da cui riprende un’indefinibile e sorprendente vocazione melodica, ed il death metal più easy listening, dal quale vengono mutuati i feroci pattern di batteria (immancabile la doppia cassa) nonché le vocalità iperaggressive ma mai eccessivamente violente e distorte; per l’appunto, sarebbe davvero un errore imperdonabile.

Anche se, giunti ormai al decimo anno di carriera, potrebbe sembrare traguardo tardivo, con questo Earthsblood possiamo serenamente affermare che i God Forbid hanno finalmente raggiunto la propria cifra musicale, vale a dire una piacevole e ponderata commistione di ruggiti vocali (davvero buona la prova di Byron Davis, costante e convincente nelle situazioni di growl, efficace e mai esageratamente zuccheroso nel momenti di clean) e break down pressoché ineccepibili, massicci intrecci in fase di riffing (a dir poco fondamentale l’azione sinergica dei fratelli Coyle alle 6 corde) e assoli sempre ottimamente armonizzati nel contesto della struttura canora (la conoscenza ravvicinata dei Trivium deve avere lasciato un segno decisivo, visto anche il considerevole allungamento dei pezzi), drumming potente e tempista capace di esaltarsi in blastbeats devastanti ma sempre ben calibrati e ponderati (davvero superbo il lavoro di Corey Pierce dietro le pelli); tutto quanto perfettamente esaltato dall’eccellente mixaggio ad opera di Jen Bogren, già all’opera con Opeth, Soilwork e Amon Amarth, che dona alla coralità strumentale una pesantezza e un’uniformità davvero devastante.

Uno degli elementi maggiormente sorprendenti è l’innegabile constatazione di come i God Forbid, nonostante la loro fama non sia assolutamente solida e vasta quanto quella di innumerevoli altri paladini del nuovo metal americano, e nonostante la stessa considerazione valga anche per il relativo conto in banca, non abbiano intrapreso la via più scontata della prostituzione musicale (citazione doverosa, visti i tempi che corrono) votata a un easy listening di valore tecnico inversamente proporzionale alla sua appetibilità commerciale: anche i brani di più facile ascolto, ovvero Empire Of The Gun e War Of Attrition (entrambi abbastanza convenzionali ma ben al di sopra della sufficienza, il primo avente ottime potenzialità da hit), non strizzano mai l’occhio alla melodia stucchevole e orecchiabile a tutti i costi, ma anche nelle parti di maggiore pulizia vocale e linearità sonora mantengono perfettamente inalterate sia la varietà compositiva che l’inestricabile oscurità atmosferica. L’unico momento in grado di sollevare qualche velleitario sospetto può essere individuato in Walk Alone, il cui chorus risveglia indubbiamente una sottile sensazione di ruffianeria, ma si tratta per lo più di una concessione del tutto trascurabile, soprattutto alla luce dell’articolata struttura della canzone, che si dipana per più di 6 minuti (durata per nulla attribuibile al metalcore moderno) e senza alcuna caduta di tono secondo gli indefiniti stilemi groove metal: davvero eccellente. Episodio emblematico, pur nella sua estrema sintesi, della transizione affrontata dai God Forbid è la prima vera traccia dell’album, la corrosiva The Rain: quasi 5 minuti e mezzo di metal massiccio, compatto, aggressivo, con linee di drumming in continua evoluzione tecnica e ritmica, con riff solidi ma mai eccessivamente monolitici, nel quale la vena melodica affiora di rado (soprattutto nelle vocals) ma in maniera sempre molto attenta e curata, grazie anche ad alcuni inserti dai nitidi richiami heavy.

Tuttavia, è su altre coordinate che occorre orientare la propria attenzione per riuscire a comprendere al meglio la straordinaria evoluzione affrontata dal combo di New Jersey in sede di songwriting, che si riflette in primo luogo in un’accurata e composita forma musicale in grado di snodarsi secondo tempi finora mai esplorati (ben 5 tracce su 10, anche tenendo conto del breve intro, superano abbondantemente i 6 minuti) senza con ciò dare adito a momenti di pausa, accenni di stanchezza, cigolii di noia e ripetitività. Innanzitutto l’inquieta The New Clear, fervida ballad dai sorprendenti risvolti prog (facilmente ravvisabili sin dall’introduzione) che esprime, senza mai rinunciare ad un piacevole narcisismo ritmico di fondo, una vena malinconica straziante che, nel culmine della propria irosa disperazione, sfocia in passaggi dalle accattivanti atmosfere doom: mai come in questo caso la precedente definizione di groove metal trova la sua ennesima, pur restrittiva, controprova. Queste stesse considerazioni possono trovare totale accoglimento anche nell’inquietante Bat The Angels, sebbene decisamente più compatta e monolitica della precedente ad eccezione di un tetro intermezzo gotico, nell’imponente title track, 9 instancabili minuti di nudo e crudo groove metal(core) (con tanto di coro messial-funereo a introduzione dell’ultima, drammatica sezione di brano), e la conclusiva Gaia, a tratti realmente epica (semplicemente affascinante il finale acustico, che riprende il delizioso intro rinascimentale tutto archi e tastiere) ma nel complesso decisamente più faticosa.

In definitiva, Earthsblood è un album magnificamente complicato e problematico, in grado di mettere in difficoltà qualunque ascoltatore, non soltanto per l’insidiosa lunghezza dei brani ma soprattutto per la molteplicità delle soluzioni tecniche adottate: con ogni probabilità non mancherà di suscitare le solite, stucchevoli riprovazioni di quanti non tollerano il metalcore, ma allo stesso tempo finirà per deludere anche quanti ne hanno fatto un credo musicale, in quanto non è in questo genere che, dopo una simile prova, i God Forbid possono rimanere ancora confinati. Ad ogni modo, la qualità musicale espressa in quest’ultimo capitolo, che emergerà evidente solamente a quanti sapranno masticare innumerevoli volte i brani in esso contenuti, è decisamente al di sopra della media e merita certamente di essere messa in luce. Un plauso speciale e più che meritato, infine, a Gustavo Sazes, autore di un artwork esteticamente splendido e simbolicamente molto significativo.


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