- Liam Howlett - Programming, Arrangiamenti, Produzione
- Keith Flint - Voce
- Maxim Reality - Voce
1. Invaders Must Die
2. Omen
3. Thunder
4. Colours
5. Take Me To The Hospital
6. Warrior's Dance
7. Run With The Wolves
8. Omen Reprise
9. World's On Fire
10. Piranha
11. Stand Up
Invaders Must Die
Quando nel 1997 uscì The Fat Of The Land dei Prodigy, il panorama elettronico europeo subì una delle più forti scosse mai avvertite prima. Innanzitutto perchè, due anni dopo l'autodistruttivo esempio degli Atari Teenage Riot di Alec Empire, la cultura rave (britannica questa volta) si mostrava e si affermava (anche e soprattutto commercialmente) nei confronti della critica e del grande pubblico; in secondo luogo perchè quel disco rimane tutt'ora un concentrato di big beat, drum&bass ed electropunk insuperato e, probabilmente, insuperabile per stile e qualità. Cause artistiche e musicali, quindi, ma ovviamente accompagnate da importanti e non trascurabili risvolti economici, come quelli che d'altronde Music For The Jilted Generation (1994) cominciò a provocare alla sua uscita, esordendo al primo posto nelle classifiche inglesi. Ma tre anni più in là le cose cambiarono parecchio, il successo si allargò in tutta Europa e dall'altra parte dell'oceano e, sicuramente, parlare dei Prodigy dopo il capolavoro del '97 non è mai più stata la stessa cosa.
Se ne resero ben presto conto anche Howlett e compagni: dopo la pubblicazione di The Fat Of The Land, viaggiare sull'onda del successo e della notorietà diventò un'abitudine, e fu così ovvio il perchè le attenzioni del pubblico venivano attirate più dalle vicissitudini interne e dal gossip attorno alla (mai avvenuta e commercialmente ben progettata) scomparsa di Keith Flint, piuttosto che riguardo l'uscita del nuovo Always Outnumbered, Never Outgunned che si fece aspettare ben sette anni prima di mostrarci i Prodigy in una forma decisamente poco smagliante.
La storia dell'ultimo disco Invaders Must Die è invece di sicuro meno tribolata, nonostante i due anni di lavorazione, e anche meno da palcoscenico: prima di tutto c'è il cambio di etichetta (da XL e Warner Bros all'indipendente Take Me To The Hospital), in secondo luogo il ritorno di Flint e Maxim Reality (assenti sul precedente full-lenght), l'assenza (se si esclude Warrior's Dance) di guest vocals e la presenza di due sole collaborazioni che corrispondo al nome di Dave Grohl in Run With The Wolves e di James Rushent, frontman dei Does It Offends You, Yeah?, tra i più divertenti e interessanti 'casi' elettronici degli ultimi anni. Collaborazione, quest'ultima, che si mostra sin da subito nelle prime due tracce dell'album, dapprima con l'omonima (e anonima) Invaders Must Die, in cui dominano le potenti costruzioni ritmiche e i synth acidi tipici di Rushent, e in seguito con Omen, primo singolo estratto dall'album e sicuramente uno dei brani meglio riusciti nella storia del gruppo (tanto da venire ripresentato in remix nella stessa tracklist oltre che, a parte, sul singolo): beat martellanti, sintetizzatori indemoniati, dinamiche da brivido ed evoluzioni ritmico-melodiche perfettamente costruite; non è infatti un caso che Omen abbia debuttato al primo posto nelle classifiche canadesi (prima ottavo, poi in top five in UK) e che sia stato remixato da act quali Noisia e Chase And Status.Il problema è che, al di là di un pezzo così riuscito e d'impatto, Invaders Must Die non riesce a mantenere il passo, rischiando più volte il tracollo (l'insulso big beat di Thunder, le banali linee melodiche di Piranha) e salvandosi solo grazie alle buone melodie di Warrior's Dance e alle più accattivanti soluzioni di Run With The Wolves e World's On Fire.
Nonostante le buone rivisitazioni del repertorio di vecchi campionamenti e sample (Take Me To The Hospital) e nonostante un'ispirazione melodica che quando viene fuori è in grado di trascinare come nei tempi migliori, Invaders Must Die pecca spesso di un evidente eccesso di ripetitività, a tratti estenuante e troppe poche volte intervallata da buoni arrangiamenti o semplicemente da idee discrete. Chi si aspettava un grande lavoro (anche se, suppongo, sul suolo terrestre siano stati veramente in pochi) dovrà purtroppo ricredersi perchè, tralasciando l'immediato (e meritato) successo 'singolo' di Omen, Invaders Must Die è, nella sua interezza, un disco banale, nonostante possa contare su una produzione e su alcune trovate ben giocate da Howlett che in conclusione permettono all'album di non sprofondare e di aggrapparsi ad una sufficienza in ogni caso raggiunta con troppa fatica da un gruppo del calibro dei Prodigy.