- Davide Autelitano - voce, basso
- Federico Dragogna - chitarra, seconda voce
- Michele Esposito – batteria
1. Tempi Bui
2. Bevo
3. Il Futuro è Una Trappola
4. La Faccia Di Briatore
5. Il Bel Canto
6. La Casa Brucia
7. Diritto Al Tetto
8. Berlino 3
9. E Poi Si Spegne Tutto
10. Vicenza (La Voglio Anch’io Una Base A)
11. Ballata Del Lavoro Interinale
Tempi Bui
Sono tornati.
Dopo la tanto geniale quanto potenzialmente suicida trovata di marketing concretizzatasi nell’inclusione di denaro vero all’interno del loro esordio discografico (trovata che ha inizialmente offuscato il contenuto effettivo del disco, ossia la loro musica), i tre Ministri hanno dato una stirata veloce alle loro giacche napoleoniche, si sono guardati intorno accorgendosi che la notte era calata sul bel paese e, con la testa ronzante di nuovi piani, sono corsi a scarabocchiare un contratto presso gli uffici Universal.
Questo accordo ha dato i suoi primi frutti nel giugno del 2008 con l’uscita di La Piazza, EP-antipasto avente come implicita funzione quella di stuzzicare i fan ed abituarli ai sapori speziati e camaleontici della portata principale intitolata, nemmeno troppo metaforicamente, Tempi Bui.
Considerando vari elementi, in primis lo stemma di una major sul disco di una band che dichiarò di voler rimanere estranea all’ambiente patinato della musica italiana, potrebbe risultare facilitato il tradizionale salto a rapide e scontate conclusioni. Se a questo aggiungiamo che il disco in questione ci accoglie con un mid-tempo adatto ad ossessivi e costanti passaggi radiofonici come la titletrack, gli scontati sospetti possono addensarsi in concrete minacce dopo una manciata di secondi passati a sudare freddo.
Ma sorpassata la perplessità iniziale, ci si accorge che i Ministri hanno avuto ancora una volta ragione.
La loro capacità di trasmettere concetti paurosamente concreti macinando caustiche frasi ed ispide schitarrate non si è affievolita per nulla, anzi, ha trovato nuove modalità espressive che ne amplificano l’efficacia, evidenziando chiari segni di evoluzione tecnica e musicale.
Perchè Tempi Bui è un concept album non dichiarato tale, un almanacco nero che denuncia con cruda e famelica lucidità l’assurdità del presente, un album di figurine dedicato interamente alla melma che pervade il sistema, che attraversando molteplici paesaggi sonori e criptiche ma significative parole ci presenta il ritratto desolante della nostra quotidianità.
Molteplici sono i riferimenti all’oscurità, alla solitudine della notte, alla necessità di accendere un fuoco per guardarsi che possiamo scovare leggendo attentamente i testi, cantati spesso in toni amari e spenti attraverso una voce languida.
Ma dall’altra parte della barricata rimangono l’ironia feroce, gli acuti doppi sensi e le urla dotate di inaudita potenza di Davide Autelitano, mentre gli strumenti si organizzano per ricreare quel sovra agitato Garage/Hard Rock suonato con chiaro approccio Punk e stradaiolo.
Pochi episodi sembrano presi dal periodo immediatamente successivo a I Soldi Sono Finiti (musicalmente parlando) : la sfrontata La Faccia Di Briatore con la sua melodia semplice e diretta intervallata da un intermezzo estivo e sixties richiama immediatamente il vecchio “modello”, così come Berlino 3, canzone apparentemente innocua ma che si installa facilmente in testa con i suoi coretti sinistri durante i ritornelli e l’inusuale sequenza di accordi utilizzata durante le strofe.
Altri frammenti dello stile caratteristico dell’esordio possono ritrovarsi sparsi in vari episodi, primo su tutti la convincente, anche se non particolarmente brillante, Bevo, canzone che sembra forzatamente cercare di convincere l’ascoltatore che i Ministri sono sempre i Ministri, con il loro carattere e la loro spavalderia, ma che racconta la sua storia in modo forse eccessivamente stereotipato per gli standard a cui ci ha abituato la band (probabilmente non a caso, il pezzo è il secondo della tracklist).
Una volta ritrovati i suoni di cui ci ricordavamo si può effettivamente iniziare ad assimilare tutto ciò che di nuovo è stato introdotto in questo disco, mentre frammenti di canti popolari intervallano una canzone e l’altra, così come era fatto nel precedente disco utilizzando una solitaria fisarmonica.
Il Bel Canto riassume in sé l’intero spirito del disco, la voce rassegnata a braccetto con strumenti ad arco ed una batteria scarna creano un atmosfera drammatica ed incombente, che esplode con l’arrivo di una poderosa chitarra distorta durante i ritornelli. L’incedere lento e l’interpretazione ricca di passione che germoglia in un urlo travolgente per poi richiudersi nel buio delle strofe raggiunge il suo climax nel finale, perfetto per essere sbraitato fino alle lacrime in sede live, con parole che si marchiano a fuoco nella testa e nel cuore.
Anche La Casa Brucia gode di tutti i crismi del pezzo destinato ad essere amato dal pubblico con ritmi dalle tiepide reminescenze Disco(caratteristica comune a Bevo) ed un testo isterico, ai limiti della metafora non-sense, che costringe a canticchiare quel suo “La casa brucia e la nonna si pettina” senza nemmeno accorgersene.
Rancido e rapace spirito Punk crepita in Vicenza (la voglio anch’io una base a), che insieme a Diritto Al Tetto (tratto dall’EP La Piazza) rappresentano la coppia di più esplicita denuncia contenuta nel disco, canzoni che fin dal titolo si dichiarano portavoci di fatti sociali ben identificabili.
Ed una volta arrivati in fondo si rivaluta anche la titletrack, si comprende con maggior coscienza il suo significato e la sua ragion d’essere, soprattutto alla luce di tutto che viene trattato durante la durata del disco.
Al di là di tutto questo, una risorsa di fondamentale importanza all’interno dell’armeria “ministrica” rimangono sicuramente i testi, sempre incisivi, crudi, diretti e straripanti di riferimenti, doppi sensi e significati più o meno nascosti. Il trio milanese è con ogni probabilità l’unica band italiana a poter vantarsi, oggi, di una distribuzione ed una pubblicità a raggio nazionale insistendo su argomenti scomodi ma importanti, affrontando temi che altri non si sognerebbero nemmeno, e soprattutto risultando sempre concreta e realista.
Insomma, Tempi Bui potrebbe essere quasi considerato il Hai Paura Del Buio? degli anni zero, non perché sempre di buio si tratta, ma per la crudele capacità di arrivare al cuore dell’ascoltatore e risultare sincero, potente e vero, caratteristiche che negli ultimi anni sembrano aver abbandonato la musica Rock made in Italy. Loro sono rimasti gli amabili profeti che erano, i suoni stessi del disco non si discostano troppo dalla passata produzione (eccezion fatta per alcuni effetti “da studio” che arricchiscono, o intaccano, canzoni come Bevo, La Casa Brucia e la stessa titletrack) e l’energia che hanno dimostrato più volte di avere risulta ora veicolata anche da chitarre acustiche, archi, e briciole di elettronica. Una maturazione sotto tutti i punti di vista, che riesce abilmente ad evitare il tranello del disco iper-prodotto e volutamente accessibile ricacciando in gola tutti gli assurdi pregiudizi a cui si potrebbe giungere dopo un ascolto veloce e distratto.
Un album da ascoltare ed assimilare, anche solo per capire che sulla penisola esistono musicisti con il coraggio di scrivere musica di spessore, urlare parole di rabbia contro situazioni scomode e, soprattutto, di parlare a tutti, senza nascondersi dietro intellettualismi di ogni sorta.