- Christian Fennesz - Chitarra, Sampler, Synth, Programming
1. Made in hong-kong
2. Endless Summer
3. A Year In A Minute
4. Caecilia
5. Got To Move On
6. Shiseido
7. Before I Leave
8. Happy Audio
Endless Summer
Il complesso e indefinibile contrasto tra forma ed espressione è sempre stato centro delle più disparate problematiche estetico-musicali, facendo addirittura scomodare filosofia e metafisica per trovare una soluzione, una via d'uscita a questo interrogativo che definire secolare sarebbe ormai riduttivo. Nel '600 barocco ci si batteva riguardo il melodramma e la sua incapacità di stimolare l'animo umano, in quanto puro gioco esteriore e spettacolare; nel '700 l'emancipazione della musica strumentale e il suo distacco da ogni sorta di celebrazione edonistica amplificò a dismisura le querelle estetiche sui, presunti, poteri emotivi della musica, aspetto che il romanticismo ottocentesco fece dilagare in un repertorio estetico di divinazione e di mistico abbandono a quella che, dopo duecento anni di speculazione critico-filosofica, risultava essere la più bassa delle arti. Poi fu il turno del '900 e del formalismo, della distruzione del concetto stesso di musica come espressione, e quindi la riabilitazione dell'arte musicale solo in quanto pura forma; fino a che non fecero il loro rivoluzionario ingresso in scena John Cage e seguaci, ovvero coloro contro cui si punta solitamente il dito quando si parla di "morte della musica", quelli che per primi assorbirono l'espressione all'interno della forma, annichilendo una tradizione che durava da quasi mezzo millennio.
Ed è per questo che Christian Fennesz, in modo ancor più netto degli altri artisti d'avanguardia post-duemila, rientra in tale discorso ponendosi effettivamente come sua emblematica, anche se distaccata, conclusione, perchè nella sua musica forma ed espressione diventano la medesima cosa, emancipando il suono da qualsiasi costrizione ed elevandone di conseguenza l'intrinseco valore artistico. Mai prima d'ora la musica sperimentale è stata infatti proiettata verso una dimensione così intima, così sofferta, così semplicemente "umana". Perchè il suono è si un fenomeno puramente fisico, ma è al contempo espressione in abstracto dell'emozione; perchè la musica, come tutte le altre arti, necessita di un recinto formale e semantico, ma d'altro canto è il linguaggio privilegiato che prima e più profondamente degli altri riesce a commuovere l'animo, in quanto sua proiezione istintiva, immediata e passionale.
Fennesz rappresenta il rivoluzionario balzo in avanti del musicista sperimentale nell'era dell'adorniana industria culturale: la fusione di concretezza elettronica e di estemporaneità melodica si compie infatti non solo stilisticamente, ma anche a livello concettuale, e i risultati sono tra i più strabilianti che la musica sperimentale ci abbia mai regalato, proprio nel momento in cui l'avanguardia stessa, soprattutto nella sua accezione più "classica" (scusate l'ossimoro), si è tristemente esaurita nel suo estenuante tentativo di sembrare forzatamente rivoluzionaria. In Fennesz anche il concetto stesso di "rivoluzionario" viene rielaborato e interpretato: rivoluzione non è tanto l'atto di scagliarsi violentemente contro il sistema (operativo) che domina l'essere umano, quanto l'irrisolvibile bisogno di emanciparsi individualmente assieme al proprio intimismo, alla propria libertà espressiva.
E' per questo che Endless Summer risulta essere uno dei casi più particolari dell'ultimo decennio di musica sperimentale: come il titolo suggerisce, il secondo album dell'artista austriaco (successivo all'altrettanto rivoluzionario Hotel Paral.lel del 1997) è un carillon evocante l'adolescenza perduta e gli spazi solari in cui essa si è felicemente consumata, è un poetico fluire di immagini nostalgiche incastonate nella fumosità dei ricordi: è, più semplicemente, la confessione più intima di un ingegnere dell'emozione. Ciò che stupisce è che questo inventario emotivo non venga rappresentato attraverso una musica cantautorale o, quantomeno, pop, bensì attraverso quello che è stato uno dei generi più controversi della musica contemporanea: il glitch, ovvero il futurista autoannullamento dell'equilibrio formale, la dissoluzione di quelle strutture compositive che vengono così frammentate e riunite all'interno di un anarchico procedimento di elaborazione sonora in cui il computer sostituisce l'essere umano. Ma a Fennesz tutto questo non bastava; non si poteva infatti abbandonare la musica tra le fauci della tecnologia, bisognava piuttosto creare un punto d'equilibrio tra la pulsione umana e quella computerizzata, tra l'evoluzione digitale e gli stimoli analogici, tra la concretezza elettronica e la fugacità del suono interiore.
Il glitch viene così elevato, svuotato della sua matrice più "bruta" e iconoclasta e "poeticizzato" attraverso un forte senso di malinconia nei confronti del dolore di vivere nel ricordo ma anche, e soprattutto, verso l'impossibilità di costruire una vita che preservi l'intimità e i sentimenti al di fuori della tecnica e della tecnologia. Questo è il paradosso fennesziano ed è in questa poetica dell'abbandono umano che risiede il seme del suo stesso essere meraviglioso e incorruttibile.
Basti ascoltare l'indimenticabile gioiello Caecilia e il suo geniale contrasto tra frammentari soundscapes elettronici e morenti bagliori melodici per cogliere fino in fondo la poesia di cui Endless Summer è permeato: sembra quasi che le melodie, inizialmente in uno stato fetale, crescano e si dipanino in un doloroso emanciparsi dalla materia tecnologica; ma quando queste due dimensioni, opposte ma al contempo complementari, si fondono, allora il suono si sgancia in tutto il suo magico potere onirico, disegnando atmosfere rarefatte e avvolgenti.
La non-elettronica di Brian Eno, umanamente robotizzata, si lega così ad un mood nostalgico e spesso retrò (la magnifica Shiseido), in cui la sperimentazione elettroacustica, splendidamente approfondita, diventa il mezzo e non il fine dispiegandosi nei momenti più metropolitani (Got To Move On) e rinchiudendosi in un lacerante minimalismo (Before I Leave) quando a prendere il sopravvento è l'etereo impianto melodico, come dimostrano le avvolgenti atmosfere ambientali A Year In A Minute. Ma in questa instancabile pantomima sonora, fatta di soave rumorismo e penetranti frames elettronici, c'è spazio anche per la dolcezza (ovviamente rielaborata al computer) della chitarra fennesziana, strumento che, come accade nella titletrack Endless Summer, il performer austriaco ha saputo genialmente rinnovare e personalizzare, in primis per le sue innegabili doti di producer, in secondo luogo grazie al tocco esecutivo, particolare e sensibilissimo, che conferisce ad ogni corda un potere evocativo senza limiti (si ascolti a questo punto il successivo e altrettanto bello Venice del 2004).
Endless Summer si dispiega così in quest'incorruttibile e irrisolvibile rapporto melodia/rumore (oltre che espressione/forma) in cui a prevalere è tanto la struggente riflessione interiore (di cui Caecilia è assoluto emblema) quanto la ricerca sonora che anche nella conclusiva Happy Audio toccherà notevoli picchi d'intensità, elevando a poesia tutto quell'immaginario di minimalismo, lievi distorsioni industriali e sperimentazioni concrète che per tutta la durata del disco si evolvono e si trasformano.
Fennesz, attraverso quello che tutt'ora è considerato il suo capolavoro, ha dimostrato che l'animo umano, per esprimere ciò che veramente nasconde al suo interno, ha bisogno di liberarsi da qualsiasi costrizione e di emanciparsi nel suo stesso mondo, al fine di coglierne profondamente anche le più sottili sfumature. Non è anarchia, non è ribellione, non è solipsismo: è ciò che più comunemente viene chiamata libertà, ovvero l'essere senza confini, il rappresentare se stessi al di fuori della realtà, del tempo e dello spazio (dimensione che in Black Sea si compie ancor più intimamente).
Anche parlare solamente di avanguardia risulterebbe a questo punto riduttivo, soprattutto per chi vede tale genere d'arte come una morbosa lezione di filosofia concettuale; anche perchè, se c'è un termine in grado di esprimere il valore artistico di questo indefinibile gioiello, allora quel termine sarà il più semplice, il più scontato, magari anche il più banale, ma di sicuro il più giusto, ovvero: musica. Perchè se quest'arte, al di là delle contaminazioni tecnologiche e stilistiche, è l'attività più spontanea e germinale dell'interiorità, allora non vi è nulla di più vicino e adiacente di questo capolavoro senza tempo, seminale in quanto esperimento di un genio, immortale in quanto sua commovente confessione.