- Jason - chitarra acustica e ritmica
- Henry Guy - voce
- Yorga - chitarra, cori
- Logan – basso
- Hart Murrain - batteria
1. Jerkwater
2. Low Self Esteem
3. Anyone
4. Neurotted
5. Beat Me Down
6. Railway to…
7. Burepolom
8. Still Love
9. The Traveller
10. Falling From The Eternity
Burepolom
I Post-Traumatic Stress Disorder, o PTSD come essi stessi preferiscono essere chiamati, sono una band dalle diverse sfumature, anzi a dir il vero sembrano una proiezione di una forma visibile da molteplici angolature. Una di queste è sicuramente quella concettuale che porta con sé un fascino sicuramente distintivo e non alla portata di tutti: i Post-Traumatic Stress Disorder infatti cercano di “stressare” (nel duplice significato del termine) tutti quegli stati emotivi dell’esistenza umana che permettono ad ognuno di noi di mutare e di far luce su una parte di sé sconosciuta, una parte che dimostra sempre più che osservare le persone spesso significa guardare solo la punta dell’iceberg (e non ci serve l’esperienza “Titanic” per capire che si tratta di un errore grossolano).
A metà strada tra l’opera pirandelliana per eccellenza, Uno, nessuno e centomila, ed una teoria sulla psicologia contemporanea di Eric Berne incentrata sugli stati dell’io, si forgia il concept non dell’album bensì del progetto della band, che esplode nella stupenda grafica presente in Burepolom, dove ciascuno dei cinque musicisti è raffigurato in una vista reale collassata con una virtuale in cui la mostruosità della parte più nascosta della psiche trova libera uscita e riesce a mutare anche l’aspetto esteriore.La scelta grafica in realtà non è per nulla fuori luogo considerando che le pseudo maschere introducono, già prima di aver selezionato il tasto “play” del lettore, al sound della band. Non si riesce ben a capire se è un caso o la scelta è voluta, ma fin dall’opener Jerkwater un’eco di nome Slipknot ci ronza nei pensieri e più passano i secondi più l’attenzione si catalizza su Corey Taylor, sia per l’espressione vocale che per qualche idea già promossa dai suoi Stone Sour.
Ed ecco che altre due angolature si incrociano: quella della proposta musicale che, incasellandosi nel più ampio chilometro quadrato di proprietà nu metal, non presagisce nulla di travolgentemente originale e quella compositiva che al contrario esalta i Post-Traumatic Stress Disorder , sia per le variazioni sul tema della singola traccia sia per l’attenzione dedicata alla produzione ineccepibile dei suoni.Sicuramente sopra le righe la titletrack, potente ed arguta, agevolmente in bilico tra riff cadenzati e parti sfuriate ma con passaggi più appealing, colpisce appunto per la sua varietà, dopo un intro di contesto con arpeggi di chitarra ed effetti elettropatologici. Un altro distinguo risulta essere l’assenza di una vera ballad, sostituita da innumerevoli sprazzi emotivi/leggeri presenti in varie composizioni (Still Love e alcune parti di Falling From The Eternity sono solo degli esempi), così come le incursioni in territori sonori oltre-confine (l’intro di Low Self Esteem fa da spalla ad una concezione opethiana). Un brano per apprezzarli davvero? Neurotted ci ha colpiti perché pur nella sua semplicità prende le distanze da idee formalizzate in ottica “singolo” (leggasi Anyone) e contemporaneamente introduce qualche incipit nuovo, alla Soulfly.
Il punto di forza dei PTSD sta nella dimostrazione che non sempre una canzone assume bellezza grazie ad un riff centrale corposo (una lezione a molte band, Grave Digger in primis) ma grazie ad un’attenzione a 360° che ne permette un appagamento da tutte le sue molteplici angolature.