- John Frusciante - Voce, Chitarra, Tastiere, Piano, Basso, Synth
- Josh Klinghoffer - Tastiera, Batteria, Organo, Piano, Synth, Voce
- Flea - Basso in "Unreachable", "God", "Heaven", "Enough Of Me", "Today", "Ah Yom"
- Johnny Marr - Chitarra in "Enough Of Me" e "Central"
- Donald Taylor and New Dimension Singers - Voce
- Sonus Quartet - Archi
1. Before The Beginning
2. Song To The Siren
3. Unreachable
4. God
5. Dark/Light
6. Heaven
7. Enough Of Me
8. Central
9. One More Of Me
10. After The Ending
Japanese version:
11. Today (bonus track)
12. Ah Yom (bonus track)
The Empyrean
John Frusciante è tutto tranne che un musicista che necessita di presentazioni, per cui è il caso di arrivare al sodo nel minor tempo possibile: approfittando di una delle consuete pause "contrattuali" del proprio gruppo (Red Hot Chili Peppers, ovviamente) il chitarrista statunitense ha ben deciso di dedicarsi alla stesura del disco che permetterà alla sua discografia solista di raggiungere quantitativamente la tanto bramata doppia cifra.
The Empyrean esce il 20 Gennaio 2009, seguendo di quattro anni il precedente e semi-acustico Curtains, e di cinque il più sperimentale A Sphere In The Heart Of Silence che mise in mostra il lato più elettronico, sperimentale e visionario (sebbene anche grazie al prezioso supporto di Josh Klinghoffer) di un musicista che, vissuto sempre sotto l'ombra dell'eccentrica accoppiata Kiedis&Flea, non è mai stato veramente apprezzato per le proprie capacità.
In ogni caso rimane significativo il fatto che il chitarrista di una delle rock band più blasonate del pianeta sia in grado di portare avanti un progetto solista con tale costanza e, più di ogni altra cosa, passione, dato che di certo non sarà The Empyrean (come non lo sono stati i precedenti solo album, anzi) a garantire a Frusciante successo e stabilità economica.
Dopo aver passato anni nel tentativo di forgiare uno stile peculiare e ricercato, stracolmo delle più disparate influenze, il chitarrista americano giunge con quest'ultima release ad una sorta di equilibrio imperturbabile che crea un immaginario stilistico decisamente riassuntivo; un compromesso sano proprio perchè stipulato con se stesso e di certo non con le case discografiche quello che ha dato vita a The Empyrean, disco in cui Frusciante si riflette senza filtri ritraendo se stesso in maniera completa attraverso dieci canzoni in cui c'è veramente di tutto, dalle eco psych-avantgardistiche dei suoi primi lavori (come lo straniante lo-fi di Niandra Lades and Usually Just a T-Shirt) ai più scanzonati refrain, dall'atteggiamento di rottura tipico del suo modo d'intendere il rock fino alle più recondite implosioni intimistiche che, però, non sempre raggiungono il risultato sperato.
Perchè in fondo quella di Frusciante, nonostante alcune abili trovate compositive, è una musica che difficilmente è in grado di rielaborarsi senza cadere nella ripetizione, nel clichè, nella melodia orecchiabile ma già sentita, nel refrain curato ma inefficace: The Empyrean, come già altri album in precedenza, soffre di questo stato di cose, non riuscendo mai a compiere l'impennata decisiva (come accade col minimalismo quasi post-rock di Before The Beginning), arrestandosi sempre nelle situazioni in cui un cambio atmosferico sarebbe risultando decisivo (l'interminabile ripetizione del riff di Dark/Light).
E non è per questo un caso se, a conti fatti, il disco tocca il suo apice con un pezzo che di Frusciante non è, ovvero l'indimenticabile gioiello di Tim Buckley, Song To The Siren, in ogni caso reinterpretata ottimamente attraverso arrangiamenti avvolgenti e degni della vibrante malinconia contenuta nel piccolo capolavoro del 1970.
Per il resto The Empyrean si lascia ascoltare senza troppe difficoltà, alternando buoni episodi (la Radioheadiana God, i toni malinconici di After The Ending e la più "colta" One More Of Me) ad altri sicuramente meno brillanti per scelte compositive e intuizioni melodiche, come ad esempio accade con Central e con la più melensa Enough Of Me, brani catchy decisamente alla Red Hot che di sicuro non avrebbero sfigurato se affiancati alle melense hit di uno Stadium Arcadium (giusto per far capire che i peproncini dipendono da Frusciante tanto quanto quest'ultimo, un tempo, dall'eroina).
Si poteva sicuramente fare di più, ma nemmeno questa volta il trascurato chitarrista statunitense c'è riuscito. Vorrei soltanto che la sua storia non venisse ricordata come quella di un eterno incompiuto anche se, in fondo, di questo si tratta.
Sperando che la prossima volta che Frusciante uscirà dal gruppo, i risultati saranno ben migliori.