Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Mediascare Records
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Jonny “Ringo” Santos - voce, chitarra
- Dave Delacruz - chitarra
- Daylen “Disco” Elsey - basso
- Chris Mora - batteria


Tracklist: 

1. A Call to Arms (01:24)
2. Funeral (06:14)
3. The Song Remains Un-Named (05:54)
4. Rebirth of the Temple (04:12)
5. Divided (06:07)
6. Bitter Pill (03:44)
7. Force Fed (03:44)
8. Lies in the House of Shame (07:32)
9. Wrath (05:53)
10. Dead to Me (05:06)
11. Blood Red Sky (04:43)
12. Falling Down (03:08)
13. Live Again (06:12)

Silent Civilian

Rebirth Of The Temple

Strana la vita: cosa può spingere il suo leader indiscusso a lasciare una delle più interessanti e affermate realtà di un genere del tutto fertile come l’alternative metal, quali sono gli Spineshank, con l’opinabile motivazione di eccessiva popolarità, per fondare una creatura musicale del tutto personale associata al genere in assoluto più inflazionato e diffuso, oggi come due anni fa, ovvero il Metalcore? In realtà, Johnny Santos e il suo inatteso progetto dal moniker Silent Civilian non sono esattamente quanto ci si potrebbe aspettare a partire dalla stretta definizione di Metalcore: i lunghi e pulitissimi assoli di Santos stesso (ad eccezione di qualche occasione in cui l’esibizione tecnica risulta alquanto sterile, manierista e forzata); le sezioni ritmiche estremamente chiare e definite con linee di drumming in blastbeat e spesso in controtempo; l’utilizzo intensivo delle clean vocals persino in fase di costruzione della strofa (anche in questa circostanza è la voce di Santos a fare la differenza); per finire, la struttura di base del songwriting, in alcuni episodi (facilmente individuabili in tracklist sin dalla loro durata) piuttosto complessa ma sempre ben organizzata; tutti questi elementi maggiormente identificativi sintetizzano una proposta musicale assolutamente eterogenea e di difficile catalogazione, che rimanda sì ad un Metalcore tendenzialmente leggero e catchy (per certi versi assimilabile, in alcuni passaggi, ai recenti All That Remains, pur con insperate sfumature made in As I lay dying) ma strizza fortemente l’ occhio alla NWOHM propria di band quali i Bullet For My Valentine e, soprattutto, i Trivium, coi quali i Silent Civilian condividono una ben chiara radice Thrash.

Non è certamente casuale che, sul loro stesso MySpace, questi ultimi si definiscano Thrash/Hardcore, giacché sono proprio queste due nature, così diverse eppure paradossalmente conciliabili, a dominare incontrastate in Rebirth Of The Temple: pezzi quali Funeral e The Song Remains Un-Named (senza dubbio i migliori episodi dell’intero album, oltre a Wrath, Blood Red Sky e la “ballad” Live Again), ampiamente sospettabili sin dalla loro durata, presentano un songwriting abbastanza elaborato e curato, piuttosto lontano dai tradizionali stilemi del Metalcore, che ricorda (anticipando, vista la data di pubblicazione) gli Slipknot dell’ultimo All Hope Is Gone: In generale, oltre alla (quasi) onnipresente doppia cassa, a dir poco essenziale per chi si professi musicalmente thrash, sono i brillanti riff Delacruz (nulla di eclatante, ma sempre e comunque piacevoli ed efficaci: The Song Remains Un-Named, Divided, Force fed, Blood Red Sky) e gli entusiasmanti assoli di Santos (con qualche eccezione piuttosto deludente, soprattutto in Lies in the house of shame e Falling Down) a fungere da fil rouge per tutta la durata dell’album: sono queste, infatti, le caratteristiche essenziali dello stile (certo non originale, ma non è questa una qualità discriminante) dei Silent Civilian, applicabili con pieno costrutto e buona resa sia a pezzi metalcore (Bitter Pill, con prestazione davvero eccellente al microfono, Force fed, Dead to me) che ad altri più vagamente thrash (le già indicate Funeral e The Song Remains Un-Named, ma anche la più che sufficiente Divided). A sorprendere, in maniera del tutto incolore purtroppo, è proprio questa nitida alternanza di brani metalcore a brani thrash, quasi che la band non abbia ancora trovato la giusta alchimia strutturale in sede di scrittura (trattandosi di disco d’esordio, è conseguenza più che comprensibile) oppure non intenda ancora esprimere una precisa direzione musicale: è, in parte, lo stesso fenomeno riscontrato in Scream Aim Fire dei Bullet for my valentine, se non ché, mentre quest’ultimi evidenziano comunque un certo feeling con il mercato discografico, i primi, per lo meno nelle intenzioni del fondatore, si proponevano di non assecondarlo minimamente.

Rebirth Of The Temple
, del resto, non è certo immune da scricchiolii ed infatti si lascia andare a qualche caduta di tono veramente sconfortante: al di là di un abuso del tutto ruffiano di cori assolutamente fastidiosi (più che l’”Oh!” di The Song Remains Un-Named o l’”Hey!” di Rebirth of the Temple, che ricorda più che vagamente la Vendetta dei 9 operai di Des Moines, ad innervosire è quel “Revolution!” di Lies In The House of Shame, dalla pruriginosa e inappropriata derivazione punk), sono la monotonia e la pesantezza proprio di Lies In The House Of Shame e Falling down a deludere maggiormente, con tanto che gli assolti di Santos risultano pacchiani e tremendamente forzati, peggiorando ulteriormente la già pessima impressione complessiva dei brani.

In conclusione, non è assolutamente facile esprimere un giudizio slegato dalle ragioni che hanno portato alla fondazione dei Silent Civilian, ossia, in prima apparenza, un puro capriccio artistico (pur coraggioso) del loro leader Johnny Santos: il trio di Los Angeles denota certamente un buon potenziale artistico e alcune peculiarità tecnico-ritmiche che, seppur in fase pressoché embrionale, individuano già una sorprendente collocazione nel moderno e parzialmente innovativo groove metal. Tuttavia, è chiaramente d’obbligo porsi una domanda: quale futuro avrebbero, o avranno, i Silent Civilian in assenza del loro unico fondatore? Può sembrare interrogativo capzioso e prematuro, ma sin dai primi ascolti risulta evidente come siano proprio la straripante personalità, la ragguardevole caratura tecnica nonché il conclamato appeal mediatico di Santos a rendere appetibile e più che dignitoso il loro prodotto, senza il cui determinante contributo costoro non sarebbero nulla o, quantomeno, nulla di più di una delle tante band in esubero di un genere oramai giunto a saturazione quale il metalcore.

N.B.
La line up che indichiamo più in basso rappresenta quella attuale, ma sembra che i Silent Civilian, pur riconoscendosi ufficialmente come trio, stiano ancora cercando un drummer che sostituisca in via definitiva il precedente Chris Mora, uscito dal progetto per ragioni personali. Proprio quest’ultimo, il bassista Henno, il chitarrista ritmico Tim Mankovsky e, naturalmente, Johnny Santos sono invece coloro i quali hanno preso parte alla stesura ed alla registrazione del presente Rebirth Of The Temple. Per quanto riguarda il futuro della band, è notizia recente (leggibile direttamente sul loro myspace) che i tre musicisti losangelini si sono ufficialmente ritrovati per scrivere i pezzi della loro prossima pubblicazione. Allo stesso tempo, in data 19 settembre 2008, gli Spineshank hanno confermato ufficialmente la loro avvenuta reunion con lo stesso chitarrista/songwriter californiano, nonché la volontà di riprendere a scrivere nuovo materiale in formazione perfettamente originale. Ancora non è chiaro quale e quando sarà la prossima release di quel multiforme ingegno che è Johnny Santos: sarà ancor più interessante, dunque, scoprire quale dei due progetti privilegerà e, soprattutto, quale fine toccherà all’altro.

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