- Jim Filler - Elettronica, Campionatori, Synth
- Todd Ashley - Basso
- Jack Natz - Voce
- Phil Puleo - Percussioni
Guests:
- April Chung - Violino
- David Oumet - Trombone
- Jim Colarusso - Tromba
- Joe Plummer - Sassofono
1. Surprise, Surprise
2. Room 429
3. Nowhere
4. Migration
5. Cut To The Chase
6. $10 Bill
7. Seattle
8. Furnace
9. Israeli Dig
10. Cause And Effect
11. Got No Soul
12. Everybody Loves You (When You're Dead)
13. All The Clocks Are Broken
Ask Questions Later
Molti dei grandi capolavori del rock sono quasi sempre nati attraverso la celebrazione del suo termine, della sua rovina. Le pulsioni iconoclaste e nichiliste profetizzate dai Velvet Underground verso la fine dei '60, poi irruentemente esplose col post-punk più distruttivo e con l'uragano concettuale del noise e della no wave newyorkese, hanno violentato, stuprato e massacrato le radici del Rock, inteso nella sua più ampia accezione. Sono passati svariati anni, si sono sono susseguiti contesti socio-culturali travagliati ed estremamente emblematici, ma l'inquietudine e lo sgomento, la rabbia e la ribellione sono rimaste le stesse, se non ancora più violente di prima. L'industrial, giunto ad una delle sue più rappresentative esplosioni verso la fine degli anni '80 (tralasciando ovviamente il movimento storico di fine '70 di Throbbing Gristle , Einsterzunde Neubauten , Chrome e Killing Joke) grazie ad acts (chi più estremi, chi meno) come Godflesh, Ministry, Coil e Young Gods, è stato il genere che più degli altri si è posto come consapevole prosecuzione di quel processo artistico mirato ad una brutale e distruttiva rielaborazione del rock, oltre che ad una disincantata e schizofrenica denuncia della tecnocratica società occidentale. Passata la soglia degli anni '90, il concetto di musica industriale si è andato via via modificando spaccando in due il suo stesso scenario e i suoi stessi protagonisti, tra chi preferì rimanere saldamente ancorato alla brutalità psicologica e alle coordinate stilistiche del decennio precedente, e chi invece optò per un progressivo avvicinamento dell'industrial alla musica di consumo.
Diventano a questo punto fondamentali quattro ragazzi statunitensi riunitisi nel 1987 sotto uno dei più emblematici monicker della musica sperimentale: Cop Shoot Cop, band nata nel periodo più travagliato e di passaggio del genere (elementi chiave la nascita dell'industrial metal grazie a Godflesh e Ministry e il progressivo allontanamento dalle radici settantiane di Throbbing Gristle e soci) ma che fu costretta ad attendere la fine del decennio per uscire dall'ambiente underground a stelle e strisce e imporsi a livello internazionale. I primi due lavori del gruppo, Piece Man e il sottovalutato capolavoro Consumer Revolt (agghiacciante urlo di condanna degno della più profonda inquietudine urbana ottantiana), non furono infatti capiti (più dal pubblico che dalla critica) e costrinsero i Cop Shoot Cop a ritentare la fortuna negli anni successivi con White Noise (1991), Suck City (1992) e quell'Ask Questions Later (1993) che, forse per le sue sonorità più moderne e 'pulite', forse per il suo atteggiamento si distruttivo e iconoclasta, ma sicuramente più ordinato, viene riconosciuto come il loro vero gioiello. E non a torto. Ask Questions Later, principalmente assieme alle perle di Trent Reznor, incarna simbolicamente la rivincita dell'industrial rock nei confronti di tutta la musica industriale che in quegli anni si stava aprendo alle più disparate contaminazioni, tradendo in qualche caso le onnipresenti, intrascurabili e ormai ventennali radici del genere.
Caratterizzati da una line up fuori dal comune (assenza totale della chitarra e sapiente uso di tromboni, violini e violoncelli) che ne evidenzia soprattutto l'attitudine sperimentale, i Cop Shoot Cop hanno riassunto vent'anni di brutali ricerche industriali (e non) attraverso un album ormai rimasto negli annali della musica d'avanguardia: dal disincanto psichedelico dei Velvet Underground fino alle tragicommedie esistenziali dei Pere Ubu , passando per l'inquietudine del post-punk e l'alienazione della no-wave e del noise, Ask Questions Later è probabilmente l'ultimo grande affresco dell'industrial rock. E questo per molti motivi, tutt'altro che trascurabili: innanzitutto una ricerca sul piano acustico assolutamente originale (il campionario industriale di Jim Filler rimane uno dei più inquietanti nella storia del genere), in secondo luogo una 'pulizia' sonora che se da una parte tradisce il grezzume e la più tipica atmosfera artigianale, dall'altra ne eleva la raffinatezza compositiva e strumentale, come accade ad esempio nella meravigliosa Cut To The Chase, in cui anche l'elemento melodico assume un peso non trascurabile, interpretando ruoli (quasi) drammatici, di certo insoliti per un genere come l'industrial, da sempre teso all'esasperazione della componente schizoide e nichilista, dell'attitudine ribelle e iconoclasta.
Ask Questions Later è un susseguirsi di perle, veri e propri concentrati di non-senso, di agghiacciante follia, decadenti ritratti di incubi urbani e di tremendi baccanali underground; a partire dall'emblematica opener Surprise, Surprise e dalle sue ricercate contorsioni armoniche, il disco si squarcia in una spettrale vivisezione lasciando evaporare tutto il suo maleodore, il suo malessere, la sua disincantata angoscia.
Tra ritmi altalenanti e schizofreniche evoluzioni acustiche si susseguono come ordigni concatenati Room 429 (macabra rielaborazione psichedelica del mood decadente del maestro Nick Cave , come del resto accade anche nel ricercato cabarettismo di Got No Soul), l'insano groove industriale di Nowhere, la già citata Cut To The Chase e $10 Bill, altro brano tra i più significativi del disco con il suo ritmo trascinato, i suoi bizzarri e incessanti effetti di cornice, e un andamento da iper-sbornia compositiva.
Ma l'impatto più martellante e claustrofobico torna immediatamente attraverso le strazianti costruzioni elettroniche di Seattle che riporta il mood del disco verso lidi propriamente industrial, in seguito ripresi ed esasperati dall'altro capolavoro Cause And Effect, come al solito curatissimo per quanto riguarda gli arrangiamenti strumentali ed elettronici che, in fin dei conti, rappresentano il vero punto di forza di un album insano ma allo stesso tempo preciso sin nei minimi dettagli, contemporaneamente martellante ed ipnotico (giù il cappello per l'inquietante atmosfera ambientale di Israeli Dig).
Ask Questions Later è per questo una delle più shockanti prese di posizione esistenziali, politiche e culturali della musica d'avanguardia degli anni '90, probabilmente l'ultimo grande e straziante urlo dell'industrial rock (se non si considera l'insormontabile The Downward Spiral dei Nine Inch Nails ). Violenza, pulsioni omicide, ira, nichilismo, idiosincrasie allo stato puro: non pensare, le domande vanno fatte dopo. Urla soltanto.
Capolavoro.