- Ronan Harris - voce, composizione, programmazione
- Mark Jackson - tastiere, pads, batteria, drum-machine, percussioni, composizione, programmazione
1. Firstlight
2. Kingdom
3. Rubicon
4. Saviour
5. Fragments
6. Distant (Rubicon part II)
7. Standing
8. Legion
9. Darkangel
10. Arclight
Empires
Il duo anglo-irlandese dei VNV Nation rilasciò il proprio capolavoro personale nel 1999 con Empires, opera che fra l'altro conferì loro una discreta notorietà e che rappresenta il punto di svolta della loro discografia.
Evolutasi molto, la musica dei VNV (nonostante gli accenni di orchestrazione già in precedenza) rimodella le coordinate strettamente connesse all'ebm degli esordi, staccandosi al contempo dai tratti più aggressivi e rendendo più meditata e complessa la composizione, per miscelare il loro stile a nuove influenze, in primis una fondamentale impronta synth pop dalle tonalità enfatiche e altamente melodica che va a costituire il cuore del disco. Si aggiungono impreziosimenti atmosferici che spaziano da un ambient cinematico ad una più ballabile ma emozionale trance, strutturazioni lineari ma coinvolgenti, stratificazioni di pad e arpeggi, un concept basato sulla memoria delle antiche civiltà opposto a scenari da fine del mondo e sull'intento di coniugare passato e futuro con una musica moderna ed accessibile; il tutto significativamente composto utilizzando un solo sintetizzatore, un Access Virus, e due samplers. Il risultato è compatto e dinamico, non rinunciante a climax emotivi particolarmente vissuti anche nella frenesia dei ritornelli più incalzanti.
Questo mix travolgente verrà in seguito definito dagli stessi VNV Nation (e contemporaneamente anche dai norvegesi Apoptygma Berzerk) come future-pop, termine in sè non molto monovalente ma che rappresenta l'idea associata all'anima della musica, cioè una soluzione di suoni variegati orecchiabile e trascinante ma soprattutto elettronica e futuristicamente moderna, motivo per cui riuscirà ad inserirsi nei commenti dei media e dei critici.
L'iniziale Firstlight è una strumentale ebm/ambient dai tratti solenni ma oscuri, che fanno sì che il disco assuma toni imponenti.
La prima canzone è Kingdom, un'esplosione di beats acidi e sintetizzatori brucianti, il tutto con tenui strings di sottofondo a fare da contrasto atmosferico e soprattutto mantenendo una forte vena melodica, sempre molto raffinata.
Il lavoro certosino di creazione e incatenamento di melodie è, come prevedibile, sempre una costante: anche Rubicon, pur mantenendo il binomio strings meste/synths corrosivi, è curatissima nel ricercare giochi melodici trascinanti ma sempre con una certa classe di fondo. Quest'ultimo fattore non viene messo in secondo piano, solo il battito ripetuto che fa da colonna vertebrale ai pezzi può dare una sensazione di "rozzezza" vista la sua ossessività, ma è un'apparenza ingannevole, perché i VNV Nation ripongono estrema cura nelle composizioni e negli arrangiamenti. Ed un'antinomia fra ricercatezza sonora e impatto diretto conferisce ancora più carisma e spessore alla musica: qui il picco è forse Saviour, una strumentale irresistibilmente energica, dinamica ed infuocata, con quello che è forse il chorus più trascinante dell'intero disco.
Ma nonostante quanto appena detto dobbiamo fare un'eccezione con Fragments e la sua drum-machine acida e ossessiva, dove tutto si perde un po' per una parentesi povera d'ambizione, più legata ad un ebm/techno banalotto e ordinario (quindi spogliata della maggior parte delle felici innovazioni delle rimanenti canzoni) e, sfortunatamente, eccessivamente ripetitiva. Un riempitivo di maniera che stona a confronto degli altri pezzi, maggiormente creativi e vivaci; eppure gli spunti melodici catturanti, come a tre quarti di traccia, ci sono, segno che il gruppo le idee vincenti riesce a trovarle ugualmente. Migliore come risultato complessivo, anche se ancora sottotono, la successiva Distant, una sorta di ballata incentrata sulle strings che pone tutta la sua enfasi sull'emozionalità, costruita dal canto abbattuto e dalle strings malinconiche, purtroppo sfociando in un eccessivo sentimentalismo.
Un po' come per farsi perdonare la battuta d'arresto, i VNV ci piazzano ora due dei pezzi migliori di tutto il disco, e cioè Standing e Legion, raffinati esempi di composizione cristallina dove la melodia "dolce" del synth pop e quella "aspra" dell'ebm vengono coniugate con genuinità sfruttando tutto il potenziale dell'unione. Ogni ogni passaggio è perfettamente calibrato per risultare in equilibrio con gli altri, fra refrain notevolmente orecchiabili ma sempre eleganti, climax emotivi nei ritornelli catchy, tappeti elettronici che si intrecciano fra momenti malinconici ed altri più epici.
Darkangel a questo punto è giusto un esercizio di stile più prevedibile e meno sorprendente, comunque ricercatissimo, che ripropone questi schemi con la stessa scorrevolezza prima che il cerchio venga concluso da Arclight. Quest'ultima ritorna sul tema di Lastlight espandendolo in una canzone completa, di maggiore spessore atmosferico e dai tratti quasi IDM abbinati ad una sensazione di nostalgia che pervade il paesaggio sonoro (anche nonostante l'incalzare del battito), come degna chiusura del disco.
In definitiva, i VNV Nation realizzano un lavoro che abbatte i confini fra ebm, synth pop e varie altre influenze elettronice dalla trance all'house, un crocevia fra moderno e classico altamente melodico ed atmosferico ma anche dai risvolti cupi che enfatizzano il retrogusto malinconico delle canzoni.
Un piccolo masterpiece per il gruppo anglo-irlandese.