- Lord Nelson - voce
- Rich Ward - chitarra, cori
- Mike Martin - chitarra
- Sean Delson - basso
- Steve Underwood - batteria
1. Worshipping a False God
2. 15 Minutes of Fame
3. Friends
4. The Flood
5. Now That You're All Alone
6. There's a Doctor in Town
7. The Fear
8. There's a Miracle Coming
9. Country Road
10. Invincible
11. Superstar Part 1 (The Journey Begins)
12. Superstar Part 2 (The World of Egos and Thieves)
The Great Revival
Come riuscire a costruire un album che, pur piacendo a molti, rischia di scontentare quasi tutti? Desaparecidos dell’ormai obsoleto (purtroppo) nu metal, aficionados del più intransigente crossover, irriducibili del latitante alt metal: molti sapranno allietarsi i timpani dell’ultimo prodotto degli Stuck Mojo, quel The Great Revival che esce a soli sette mesi di distanza dal grande ritorno firmato dalla nobile ditta Lord (Nelson) & Duke (Ward) Southern Born Killers, ma altrettanti rimarranno delusi da un alleggerimento sonoro che, rinnegando qualunque forma di purezza musicale se non per qualche efficacissima introduzione “popular”, sconfessa l’essenza stessa dell’ormai ventennale tradizione del teschio (simbolo della band). Ci rendiamo perfettamente conto che appena si accenna al termine pop immediatamente suonano le sirene della commercialità, ma, al di là del fatto che non sempre le proposte à al Mtv sono così scadenti dal punto di vista strettamente emozionale e qualitativo (e gli Stuck Mojo, su Mtv, ancora non sono apparsi), come biasimare una band che per anni non ha visto il becco di un quattrino (a loro dire) dalla propria casa discografica, che per 7 anni è rimasta al palo abbandonata sia da quest’ultima che dal suo leader e vocalist Bonz, che dopo questi 7 anni di assoluta latitanza ha distribuito gratuitamente il suo ultimo album, salvo poi riproporlo con l’aggiunta di qualche bonus track (ma possiamo intuire quanti ricavi ne abbia ottenuto) grazie al provvidenziale intervento dell’austriaca Napalm Records? Al di là di qualunque giudizio transitorio, comunque, The Great Revival è un lavoro piacevole e ben strutturato che, al di là di un vago senso di approssimazione, si fa ascoltare con una facilità e un calore assolutamente indiscutibili.
La prima innovazione sensibile è la partecipazione della white vocalist Christie Cook (15 Minutes Of Fame, The Fear, Superstar Part.1), la quale ha il pregio di interagire alla perfezione sia col cantato rap (abbastanza piatto ma quasi mai deludente) di Lord Nelson, decisamente più leggero e aggraziato di quello un tempo acido e aggressivo di Bonz, che con quello estremamente clean di Rich Ward: si tratta di un’evoluzione stilistica piuttosto rilevante, in quanto attracca la proposta musicale firmata Stuck Mojo alle perigliose spiagge dell’hip hop e dell’R’n’b, penalizzando indubbiamente l’essenza più metallica della discografia della band ma avvicinando la dimensione (anche economicamente) più florida dell’easy listening. Questo non significa assolutamente che il quintetto di Atlanta rinneghi, in quest’ultimo The Great Revival, le proprie radici nu metal: 15 Minutes Of Fame, il cui inciso è in assoluto uno dei più trascinanti dell’album, rimanda ai Sevendust dei bei tempi andati di Seasons, coniugando alla perfezione solidi riff in powerchord, accattivanti pizzicati d’archi e accenni di blastbeat (essenzialmente in prechorus); The Fear, il pezzo in assoluto più duro dell’album (a discapito della sua durata, che rischierebbe di farlo catalogare come skit, visto l’orizzonte rap dei nostri paladini), propone a sua volta un drumming continuativo e roccioso (nonostante il sound della doppia cassa risulti, talvolta, eccessivamente legnoso), accompagnato da un riff secco e rapido sul quale si intersecano il rap (e le risate) di Lord Nelson e la voce, in questa occasione più abrasiva e ruggente, dell’eccellente Christie Cook; This Flood, nonostante un intro orientaleggiante e le consuete strofe rap, in certe sonorità strumentali, abbastanza pesanti e strascicate, e vocali, prima tetre quindi aggressive, riecheggia della spettrale decadenza propria del doom, con un intermezzo che ricorda vagamente i Gojira dell’ultimo The way all flesh.
Tuttavia, gli episodi più vagamente metallici si esauriscono qui: il resto è una mescolanza di generi e sperimentazioni tecnicamente ben riuscita e ben confezionata, ma, talvolta, apparentemente fittizia o artificiale. E’ questo, forse, il difetto maggiormente ravvisabile in The Great Revival: al di là della straordinaria immediatezza delle strutture e delle melodie, che mai, è bene sottolinearlo, scade nella banalità o nella prevedibilità (pur con tutti i limiti propri di generi come rap e hip hop, tutt’altro che inclini a particolari cambi di tempo o sonorità); al di là di un groove genuino ed essenziale ma al tempo stesso estremamente coinvolgente; al di là di un rap pulito, preciso e per molti versi anche riproducibile, quindi più catchy anche per chi geneticamente lo fatica a digerire, sul lavoro nel suo complesso sembra gravare la consueta necessità di raggiungere e toccare troppe corde, senza, forse proprio per questo motivo, approfondirne realmente nessuna. Scarnificando la tracklist e semplificando enormemente le definizioni, si può subito notare come la mescolanza e l’alternanza dei generi proposti sia, benché efficace, forse eccessiva: oltre all’intro (Worshipping A False God) e a 2 skit (There’s A Doctor In Town e There’s A Miracle Coming, di evidente derivazione rap), sono presenti 3 pezzi tendenzialmente metal (le già citate 15 Minutes Of Fame, The Fear e The Flood), un pezzo riconducibile al funk (Friends, nella quale esordisce la loro brava concittadina Christie Cook), un altro più propriamente rap (il singolo Now That You’re All Alone, con tanto di ritornello catchy cantabile), uno tipicamente country (la parziale cover di Country Road, con una sinuosa linea di basso e splendidi cori simil-gospel nel chorus finale), un altro avvicinabile alle ritmiche hip hop (Invincible, con tanto di groove trascinante e riff piuttosto carismatico), uno più propriamente pop (Superstar part.1, con una linea centrale di chitarra à la Carlos Santana) e, in chiusura, un gustoso melange riassuntivo (Superstar part.2), che unisce ritmiche hip hop, solito powerchord e inciso orecchiabile.
A questo punto risulta chiara, se mai ne avessimo avuto il dubbio, l’inclinazione crossover degli Stuck Mojo, ma, se la loro netta predisposizione al rap giustifica e fa ulteriormente apprezzare la presenza di numerosi contesti musicali nonché di passaggi tipici del genere come gli spoken skit, tuttavia, per una band che storicamente si configura nel vasto panorama dell’alt metal, presentare un album con solamente 9 pezzi effettivi (sia per struttura che per durata, naturalmente) e per di più estremamente diversi tra loro sembra operazione frettolosa, piuttosto che approssimativa: sarebbero stati utili alcuni mesi di lavoro in più, probabilmente, non soltanto per produrre nuove tracce (la qualità di un lavoro si misura a prescindere dalla quantità, è ovvio) ma soprattutto per scegliere con maggiore accuratezza le esatte coordinate della nuova direzione musicale. Sta di fatto che, comunque, The Great Revival si presenta come un lavoro più che sufficiente, dalla straordinaria immediatezza e dalla genuina capacità di coinvolgimento, che, pur senza esaltanti dimostrazioni tecniciste, si lascia apprezzare per semplicità e emozionalità, senza pause, senza sbavature, senza sbadigli. Dopo 7 anni di tempesta, per gli Stuck Mojo è finalmente tornato il sereno.