- Cornelius - voce, effetti sonori, chitarra, basso
- Lazare - cori, tastiere, batteria
Guests:
- Aggir Frost Peterson - voce
- Sareeta - violino
- Live Julianne Kostol - violoncello
- Kjetil Selvik - sassofono
- Jormundir Ingi - voce
1. Sun I Call
2. Survival of the Outlaw
3. Where Birds Have Never Been
4. Bragi
5. White Frost Queen
6. There is Need
7. Prayer of a Son
8. Crater of the Valkyries
9. Sea I Called
Red for Fire
Numerose sono le formazioni norvegesi che, partite da radici Black Metal, si sono progressivamente allontanate per scoprire meandri sperimentali e affascinanti: tra esse si possono sicuramente ricordare In the Woods…, Ulver, Arcturus, Borknagar e Solefald, bands capaci di fondere atmosfere originali e mai scontate. Questi ultimi, reduci dallo splendido In Harmonia Universali, pubblicato nel 2003 dalla Century Media, e rientrati in studio dalla primavera 2004, tornano alla fine del 2005 con la nuova opera Red for Fire - An Icelandic Odyssey Part I.
Nell’album il duetto norvegese, con l’apporto di guests scelti appositamente per creare l’alone avant-gardistico, si esibisce in nove brani maturati dopo lunghe elaborazioni e intrisi di soluzioni geniali, spesso sorprendenti per gli ambiti musicali in cui vanno ad inserirsi.
Un grande miscuglio sonoro, che si avvia dalla crudezza del Black Metal per giungere allo sviluppo di sonorità opposte, quali Jazz, Progressive e Folk scandinavo: la scelta di inserire strumenti atmosferici di accompagnamento, quali violino, violoncello, sassofono e orchestrazioni, rappresenta il punto di forza di Red for Fire, poiché l’ascoltatore rimane stupito dalla teatralità di tutte le sezioni in cui può essere suddiviso.
Tante voci suadenti che si sovrappongono, maschili e femminili, acute e gravi, sfociano spesso nel growl/scream di Cornelius, maligno, violento e impetuoso. I Solefald forse costituiscono oggi l’esempio più emblematico dell’evoluzione del Metal scandinavo, poiché capaci di accostare trovate contrastanti e prive di ogni connessione stilistica: sulla scia degli insegnamenti impartiti dagli In the Woods… di Heart of the Ages e dagli Ulver di Perdition City si forma Red for Fire, un vortice di sperimentazione Post Black, che può essere non compresa e apprezzata dai cultori del vecchio stile norvegese.
La francese Season of Mist ha creduto invece nell’evoluzione del genere, prendendo sotto di sé dal 2005 sia gli Arcturus che i Solefald, due realtà innovative del panorama Metal internazionale, che sta vivendo un periodo di declino non indifferente. Le idee faticano ad uscire in questi ultimi anni e solo i pochi capaci di osare possono risultare i vincenti che si allontanano dalla statica massa dei conservatori.
La prima canzone Sun I Call ne raffigura la prova: in un incastro di voci, un raffinato sassofono che rammenta la bellissima Lost in Moments (Ulver - Perdition City) emerge dall’accompagnamento di archi, creando un contesto Folk dal sapore contemporaneo e antico. In una progressiva apertura sonora e sinfonica si struttura la prima parte del brano, fino all’esplosione Black Metal provvista di una doppia cassa devastante, a cui si aggiungono presto sassofono e archi.
Survival of the Outlaw gioca sulle contrapposizioni di fasi irruente e di intervalli orchestrali di notevole fattura: memori delle influenze dei Borknagar di Empiricism, i Solefald danno spazio a riff Folk/Ambient, eccezionali nella loro direzione inquietante e intrisa di angoscia.
Simile è l’approccio di Where Birds Have Never Been, in cui l’intreccio delle voci risulta soave nelle riprese sinfoniche delle tastiere, filtrato e infernale nelle parti elettroniche.
Dopo il brevissimo intermezzo strumentale Bragi, si arriva all’elegante White Frost Queen, la traccia che forse colpisce di più per la melodia che emerge dal cantato femminile e dal gelido accompagnamento: più votata a rivisitare alcuni aspetti degli Arcturus, la canzone scorre via veloce, alleggerendo il ritmo dell’album e conferendo tonalità gotiche piacevoli e inattese dopo l’enigmatico inizio di Red for Fire.
There is Need è tuttavia il ritorno all’asprezza dello screaming di Cornelius e alla ferocia esibita dal Black Metal norvegese: tanti i collegamenti con la generazione Satyricon, sebbene la voce assuma a volte toni clean espressivi e affascinanti. I Solefald ci avevano già abituato a tali cambiamenti di direzione sonora nei lavori passati e, paragonando questo brano più cattivo con altri episodi di Red for Fire, esso è sicuramente il meno competitivo.
Ci si sta incamminando ormai verso la fine dell’odissea con Prayer of a Son, pausa parlata che precede Crater of the Valkyries, ottima nella velocità che acquista con il trascorrere del tempo: una cavalcata tra Black e Progressive, tra boati sonori e cupe interruzioni; ascoltando tale brano e il finale Sea I Called, altrettanto innovativo negli effetti creati dalle numerose voci, si comprende quale sentiero abbiano voluto seguire Cornelius e Lazare, due musicisti che hanno voluto imprimere un segno incancellabile nella storia dell’Avantgarde con il loro progetto Solefald.
Un’altra opera che dà uno scacco matto alla produzione Black, statica da anni nelle sue infinite bands, spesso capaci solo di copiarsi l’una dalle altre senza inserire elementi inediti, per conservare l’integrità di uno stile che solo da poco ha saputo trasformarsi verso nuove forme. E sullo sfondo del mare su cui si erge una voce in norvegese nella ghost-track (della durata di più di cinque minuti), si chiude Red for Fire, disco che già dalla copertina preannunciava qualcosa di inusuale, probabilmente connesso agli Ulver: in parte così è stato e i Solefald mettono a segno un altro importante colpo nella loro straordinaria discografia.