- Frank Zappa - Chitarra, Basso Ottavo, Percussioni
- Ian Underwood - Piano, Organo, Flauti, Clarinetto, Sax
- Jean Luc Ponty - Violino
- Captain Beefheart - Voce
1. Peaches En Regalia - 3:38
2. Willie the Pimp - 9:25
3. Son of Mr. Green Genes - 8:58
4. Little Umbrella - 3:09
5. The Gumbo Variations - 12:55
6. It Must Be a Camel - 5:15
Hot Rats
Pietra miliare di tutto il rock d'avanguardia di fine anni '60, Hot Rats è senza ombra di dubbio una delle opere più celebri mai composte da Frank Zappa, una delle sue fatiche più fantasiose, più ricercate, più abbaglianti.
Sono passati solo tre anni dall'esordio del genio di Baltimora con le Mothers of Invention (Freak Out, 1966), eppure il suo nome già risuona violentemente in tutto il panorama rock di nicchia e - cosa ben più bizzarra - in tutto scenario politico americano dell'epoca. Questo perchè Zappa stupisce, deride, umilia, mette in difficoltà non una semplice società, bensì quella del Sogno Americano. Lo fa con l'Arte, con l'invenzione pura, purissima, tipica dei grandi creatori: personalità troppo versatili e febbrili per essere semplicemente definiti "artisti".
Hot Rats, uscito a pochissimo tempo di distanza dall'immortale Uncle Meat (siamo sempre nel 1969), apre una nuova dimensione all'interno dello stravagante immaginario compositivo zappiano: le hit deturpate e sarcastiche dei precedenti album si assottigliano a livello quantitivo per lasciare spazio ad un ambiente più organizzato e, per certi versi, anche più ragionato. Messe progressivamente in secondo piano le istanze psichedeliche e quelle rock-parodistiche, Zappa si concentra su un disegno stilistico come al solito ai limiti della versatilità, ma questa volta più chiaramente proiettato verso costruzioni prog e contorni squisitamente jazzistici (aspetti in ogni caso presenti già dai primi lavori).
Hot Rats è anche, e soprattutto, il primo disco in cui veramente Zappa lascia esplodere tutto il suo estro compositivo, presentando dei blocchi strumentali fino ad allora impensabili in un contesto rock e che (assottigliando il caos strumentale del visionario Lumpy Gravy 1967) daranno il via alla fase 'orchestrale' della discografia zappiana (Waka/Jawaka e The Grand Wazoo possono essere visti come sfarzose esplosioni del nucleo di Hot Rats). Il riferimento al progressive rock - termine nel quale si tende spesso a restringere l'arte di Zappa - è per certi versi necessario ma al tempo stesso abbastanza fuorviante: in un periodo (fine anni '60) in cui il prog rock era ancora un qualcosa di embrionale e in fase di sviluppo, Frank Zappa aveva già superato e distrutto i suoi canoni, dimostrando in una manciata di album di essere al di là di tutto, di qualsiasi ambito stilistico, concettuale e creativo. Fatto sta che la maggior parte delle composizioni di Hot Rats, specie negli elegantissimi fraseggi di Peaches En Regalia, si stendono lungo percorsi strumentali colti e irrequieti, sia che si tratti di ampie boccate rockeggianti (Son Of Mr. Green Genes - rivisitazione più ariosa della Mr. Green Genes di Uncle Meat - e, in primis, l'indimenticabile Willie the Pimp) sia di contorsioni colto/jazzistiche di pregevole fattura (il velo psichedelico che percorre la decoratività di Little Umbrellas).
Fatta eccezione per i primi due minuti di Willie the Pimp (in cui a cantare è il geniale amico/duellante Captain Beefheart, così soprannominato proprio da Zappa) Hot Rats è - assieme a Lumpy Gravy - uno dei primi lavori della discografia zappiana a concentrarsi esclusivamente sull'ensemble strumentale: a farne le spese è ovviamente la prorompente carica satirico-dissacrante dei precedenti album che, in ogni caso, si risveglierà immediatamente negli anni successivi con opere altrettanto infuocate e sarcastiche. Il risultato di questo orientamento è una serie di composizioni che brillano non solo per cura formale sempre cara a Zappa (i sedici minuti di The Gumbo Variations e l'ipnotico procedere della perla It Must Be a Camel, bizzarra danza di chitarre, pianoforte e fiati) ma anche per la pienezza e l'assoluta efficacia di un impianto melodico che sa essere leggero (il moto sinuoso di Peaches En Regalia) e al contempo rude e trascinante come non mai (Willie the Pimp, che rappresenta il cuore più hard del disco).
Il 1969 zappiano - visto che per il baffone italo-americano un anno è un lasso di tempo abbastanza vasto per tirare fuori n-capolavori) - si chiude così con un altro gioiello che, aggiunto alla rivoluzionarietà compositivo-concettuale dei seminali Freak Out!, Absolutely Free, We're Only in It for the Money e Uncle Meat, contribuisce a consolidare il nome di Zappa nello scenario Rock di quell'America che prima d'allora non aveva mai partorito un genio globale di tale portata.
In soli tre anni il musicista di Baltimora (non ancora trentenne) aveva già superato la psichedelia, messo parodisticamente a ferro e fuoco la canzone americana e brevettato un concetto di musica unico e assolutamente avanguardistico: da quel momento in poi saranno i suoi fricchettoni, le sue puttane, i suoi sbirri incapaci, i suoi politici corrotti, le sue strade deturpate ma anche la sua ineguagliabile raffinatezza creativa a dominare l'intero universo del rock sperimentale internazionale.
Ed era ancora il 1969...