- Guy Speranza - voce
- Mark Reale - chitarra
- Rick Ventura - chitarra
- Kip Leming - basso
- Sandy Slavin - batteria
1. Swords And Tequila
2. Fire Down Under
3. Feel The Same
4. Outlaw
5. Don't Bring Me Down
6. Don't Hold Back
7. Altar Of The King
8. No Lies
9. Run For Your Life
10. Flashbacks
11. Struck By Lightning (bonus track)
12. Misty Morning Rain (bonus track)
13. You're All I Needed Tonight (bonus track)
14. One Step Closer (bonus track)
15. Hot Life (bonus track)
Fire Down Under
Fire Down Under, uscito su LP nel lontano 1981, fu il terzo album della metal band statunitense Riot, nonché quello che, cronologicamente parlando, viene unanimemente riconosciuto come il loro primo capolavoro, non solo per il valore qualitativo di ogni singola composizione, ma anche e soprattutto per il suo fondamentale contributo alla nascita e allo sviluppo del power metal americano, tanto che sono in molti ad additarlo come uno dei primissimi (se non addirittura il primo in assoluto) esempi di US power, che poco e niente ha comunque da spartire con il power di estrazione teutonica ed europea che si sarebbe poi affermato sul finire degli anni ’80.
Si tratta indubbiamente di un chiaro esempio di proto-power, pur sempre rientrante ancora in precisi ma niente affatto limitati confini heavy metal, com’è sempre stato nel percorso artistico di questa band di New York, che per tutta la sua lunga storia ha visto passare tra le sue fila diversi membri italo-americani, come il geniale chitarrista Mark Reale, l’altro chitarrista Rick Ventura ed il compianto singer Guy Speranza, qui alla sua ultima presenza con i Riot.
Il loro sound è sempre grezzo, dirompente e genuino, un po’ in forma di primordiale stile rock n’ roll ed un po’ di innovativa attitudine proto-power, costruito su strutture semplici e fatto di riff sporchi e taglienti, assolo di chitarra roventi, ritmiche arrembanti, melodie lineari e dirette ma mai banali. Autentici pionieri del metal americano, in realtà i Riot godevano di sentiti apprezzamenti anche nel Regno Unito, in cui, grazie anche al successo dei due precedenti lavori, rappresentavano una delle poche risposte americane al dominio del metal inglese ed al contempo una delle altrettanto poche valide alternative metalliche al boom dell’ormai affermata NWOBHM.
I riff incendiari e le ritmiche incalzanti dell’opener Swords And Tequila pongono immediatamente l’impreparato ascoltatore al cospetto di un lavoro incredibilmente energico ed elettrizzante, come si evince fin troppo chiaramente dalle intenzioni bellicose del grintoso refrain di un incontenibile Guy Speranza, per proseguire subito con l’altrettanto grezza ed arrembante title-track, che esplode ancora una volta in un refrain rabbioso e liberatorio, benché non si possa fare a meno di citare anche i solo al fulmicotone del grande guitar hero Mark Reale.
Si cambia leggermente registro con Feel The Same, senza tuttavia perdere affatto in qualità, un bel mid-tempo melodico e sempre grintoso, che sembra riprendere certo hard rock/proto-metal settantiano dando vita ad un brano tanto particolare quanto piacevole ed efficace, mentre la palma di miglior brano, nonostante questa sia impresa al quanto ardua e soggetta a contrastanti posizioni, si potrebbe forse assegnare alla bellissima Outlaw, in possesso di melodie cariche di feeling ed in grado di trasmettere un’alta carica adrenalinica, specie in prossimità del solito refrain, melodico ed energico, efficace come pochi altri in ambito heavy.
La coppia d’asce formata da Reale e Ventura è un’autentica garanzia, una sorta di polizza assicurativa, come prezioso è il lavoro al drumming di Sandy Slavin, specie quando si alzano i ritmi e l’andamento si fa più arrembante, come accade in Don't Bring Me Down e Don't Hold Back, entrambe caratterizzate da riff sporchi e dal retrogusto rock n’roll à la AC/DC, un ritornello catchy e ritmiche rocciose, che sembrano preannunciare l’ormai prossima svolta power, che troverà poi massima espressione nel loro ennesimo capolavoro a nome Thundersteel del 1988, anche se quella che maggiormente spalanca le porte ad un sound più propriamente US power è l’immensa Altar Of The King, la quale aperta da arpeggi dal flavour epico esplode presto in una fast song potente, rocciosa ed incalzante, di rainbow-iana memoria, che sarà sicuramente servita da punto di riferimento a tutti quei gruppi power-thrash che da lì a poco si sarebbero affermati negli States, quali Metal Church, Vicious Rumors e simili.
La più orecchiabile ed ordinaria No Lies continua a conservare tutte le caratteristiche proprie dei Riot di quel preciso momento, con tanto di riff sporchi ed incisivi e sezione ritmica rocciosa, mentre la vertiginosa Run For Your Life è una cavalcata metallica sparata, veloce ed incontenibile, altro magnifico antenato ed al contempo esempio di US metal, giungendo così alla conclusione con la strumentale live Flashbacks, interamente giocata sulle distorsioni di chitarra e sulla partecipazione calorosa del pubblico.
Nella ristampa in Cd del 1997 sono state inserite ben cinque bonus track (da notare a tal proposito la somiglianza del riff di Struck By Lightning con quello ben più celebre di Smoke On The Water), che tuttavia poco hanno da aggiungere a quello che può a tutti gli effetti considerarsi uno degli album più importanti e fondamentali dell’intero panorama heavy metal americano. Con Fire Down Under quindi i Riot consolidano ancor di più la loro fama, anche al di fuori del continente americano, ed aprono la strada al classico ed inconfondibile suono dell’US Metal.