- Ritchie Blackmore - chitarra
- Ronnie James Dio - voce
- Tony Carey - tastiera
- Jimmy Bain - basso
- Cozy Powell - batteria
1. Tarot Woman
2. Run with the Wolf
3. Starstruck
4. Do you close your Eyes?
5. Stargazer
6. Light in the Black
Rising
Gli anni ’70 vedero l’Hard Rock raggiungere il suo apice di creatività, qualità e seguito, consegnando alla storia pietre miliari della musica e formazioni che avrebbero impresso, con la loro presenza, dei sigilli inossidabili sul grande contenitore della musica rock di quei tempi. La parte dei leoni la facevano il cantante e il chitarrista: il primo aveva il compito di catturare la platea nei concerti (o gli ascoltatori sui vinili) con il suo carisma e la sua personalità, rapendo gli animi e ghermendoli con la sua forza; il secondo, grazie allo strumento che aveva fra le mani, divenuto una vera e propria estensione del suo corpo, macinava riff su riff indimenticabili e assoli variopinti per trascinare gli animi e stabilire il rapporto finale fra fan e band. E di fatti sono proprio questi due elementi quelli che più vengono ricordati nella storia comune di tutta la corrente. E questi uomini potevano essere Robert Plant e Jimmy Page per i Led Zeppelin, Jon Anderson e Steve Howe degli Yes, Freddy Mercury e Brian May dei Queen, David Lee Roth ed Eddie Van Halen nei Van Halen, e così via, tanti altri nomi che si sono guadagnati il loro posto fra le stelle del rock.
Ovviamente anche i Rainbow entrerebbero di diritto in questo elenco. Soprattutto con un album come Rising, presumendo che prima di esso si abbia ascoltato l’ottimo album d’esordio e quantomeno gli album fondamentali dei Deep Purple, i “padri” della band, in modo da capacitarsi maggiormente di dove si sia infine giunti.
Un assolo virtuoso astrale di tastiera apre il primo minuto e mezzo di Tarot Woman, e poi tocca al duo delle meraviglie: Ritchie Blackmore e Ronnie James Dio. Il loro binomio è nel momento di più assoluta forma con questo Rising, probabilmente anche la miglior prestazione per quel che riguarda le singole carriere di ciascuno. L’abilità canora stratosferica di Dio e la bravura quasi infinita di Blackmore conferiscono loro il titolo di vati dell’hard rock insieme a pochi altri eletti (primi fra tutti gente come Jimmy Page, Geddy Lee o Neil Peart), e questo non solo certo grazie a quattro brani di grintoso, memorabile, fantasioso hard rock, a dare il colpo di grazia è la famosissima strabiliante Stargazer, intoccabilmente posizionata fra i tre brani simboli di sempre dell’Hard Rock insieme a titoli del calibro di Stairway to Heaven degli Zeppelin o Child in Time dei Deep Purple. Stargazer è, con i suoi riff storici, i suoni medio-orientaleggianti (soprattutto di tastiera), l’assolo virtuoso e l’interpretazione viva e colorata di Dio, l’apice di quanto Rising possa dire, di quanto i Rainbow possano proporre. Questo ovviamente non sminuisce tutto il resto dell’album, che anche se dovendo cedere il posto combatte con gloria e onore, a partire da Run with the Wolf, il brano più Deep Purple-style di tutti, passando per l’intrepida e tirante Starstruck e per la vivacità rockeggiante di Do you close your eyes?, finendo con l’impeto di Light in the Black, brano principe dell’album e impeccabile chiusura per esso, con il vanto di anticipare molte delle sonorità della NWOBHM, Iron Maiden in primis, e quindi di rappresentare Rising nella schiera dei pionieri che avrebbero dettato ogni singola parola del nascente libro del primo heavy metal britannico.
Le vicende personali che avevano allontanato Blackmore dai Deep Purple oscurarono il cielo e fecero scendere pioggia a frotti sulla sua vita, ma tutti sappiamo che dopo la pioggia spunta l’arcobaleno, e l’arcobaleno di Ritchie Blackmore è più splendente e colorato che mai.