- Thomas Hedlund - batteria, percussioni
- Andreas Johansson - basso
- Fredrik Kihlberg - chitarra, voce
- Magnus Lindberg - batteria
- Erik Olofsson - chitarra, grafica
- Johannes Persson - chitarra, voce
- Klas Rydberg - voce
- Anders Teglund - tastiera, elettronica
1. Owlwood (07:39)
2. Eternal Kingdom (06:41)
3. Ghost Trail (11:50)
4. The Lure (Interlude) (02:33)
5. Mire Deep (05:10)
6. The Great Migration (06:32)
7. Österbotten (02:19)
8. Curse (06:30)
9. Ugín (02:44)
10. Following Betulas (08:56)
Eternal Kingdom
L’arcigno e minaccioso gufo che troneggia sull’artwork del quinto capitolo discografico degli svedesi Cult Of Luna rappresenta già al meglio quale sia l’aria che si respira in un disco fuori dal comune, almeno a livello di genesi. Eternal Kingdom può essere reputato infatti come l’opera più ricercata degli otto musicisti di Umea, perché ad un più marcato sperimentalismo musicale si aggiunge la particolare storia narrata nelle dieci tracce di cui si compone.
Provando in un’area dismessa, sede di un ex ospedale psichiatrico, la band si è imbattuta casualmente in un diario rimasto nascosto da tempo ed appartenuto ad un internato chiamato Holger Nilsson, accusato di aver affogato la moglie. Nel diario, intitolato Tales From The Eternal Kingdom, Nilsson attribuisce la morte di sua moglie al Näcken, un’entità diabolica del folclore svedese, dichiarandosi così innocente: l’immaginario costruito nel racconto scava in figure fantastiche come uomini albero e uomini gufo, a cui si ispira direttamente la sopra citata copertina del lavoro dei Cult Of Luna.
Se i testi inseriti dal gruppo scandinavo sono integralmente tratti dal diario di Nilsson, la dimensione musicale porta con sé il caratteristico marchio stilistico dei precedenti episodi discografici, aggiungendo però elementi inediti e puntando ad una produzione di gran lunga superiore. Sarebbe erroneo istituire paragoni con le altre realtà del Post Hardcore quali Isis e Neurosis, perché finalmente i Cult Of Luna han trovato una propria integrità con un Eternal Kingdom ricco di chiaroscuri e di sfumature.
Il sound si è fatto più incisivo nelle parti distorte e la voce ha raggiunto un grado d’intensità mai sfiorato in precedenza: di certo la matrice stilistica di base rimane costantemente quella soffocante del Post Metal e le liriche trattate si inscrivono perfettamente nel panorama delle celebri formazioni californiane, ma la resa strumentale si colloca ad un livello superiore rispetto ai vari Salvation e Somewhere Along The Highway.
E’ sufficiente accostarsi ad una canzone come l’opener Owlwood per comprendere come i Cult Of Luna siano diventati più corposi e possenti, adattando le fondamenta Doom/Sludge ad un corso più sperimentale, fatto di intermezzi avvolgenti, misteriosi e delicati.
La traccia più elaborata è la poi la terza Ghost Trail, strutturata in un sali-scendi di emozioni e colori e dotata delle tipiche improvvise accelerazioni/decelerazioni del genere; si deve inoltre rammentare l’uso di strumenti sconosciuti alla passata dimensione Cult Of Luna, come la tromba alla fine della splendida Following Betulas che rievoca le atmosfere degli americani Shels.
In definitiva, Eternal Kingdom raffigura un full-length complesso ma soprattutto completo, perché la band sembra districarsi facilmente tra i meandri del Post Hardcore e fraseggi più psichedelici, componendo un album non originalissimo ma senza dubbio uno dei meglio suonati ed interpretati dell’ultima stagione del genere. La volontà di progredire dal passato sembra testimoniata anche dalla grafica di gran lunga più curata e professionale rispetto a quella minimalista e scarna degli album precedenti, nonché dalla proposizione di un racconto sconosciuto (e non la stesura un concept) che affascina pur nel suo macabro concepimento.