- Rob Halford - voce
- Gleen Tipton - chitarra
- K.K. Downing - chitarra
- Ian Hill - basso
- Scott Travis - batteria
1. Dawn Of Creation
2. Prophecy
3. Awakening
4. Revelations
5. The Four Horsemen
6. War
7. Sands Of Time
8. Pestilence And Plague
9. Death
10. Peace
11. Conquest
12. Lost Love
13. Persecution
14. Solitude
15. Exiled
16. Alone
17. Shadows In The Flame
18. Visions
19. Hope
20. New Beginnings
21. Calm Before The Storm
22. Nostradamus
23. Future Of Mankind
Nostradamus
Dopo il buon riscontro avuto con il precedente Angel Of Retribution del 2005, i Judas Priest, una delle band più importanti, storiche e fondamentali del panorama heavy metal, tornano con un concept-album incentrato sulla controversa e leggendaria figura del veggente profeta Nostradamus, contenente ben ventitre brani, distribuiti in quasi due ore di musica. In gergo cinematografico la nuova opera dei metallers inglesi si potrebbe definire come un vero e proprio "colossal", termine che tuttavia, nel cinema come nell'heavy metal, non sempre fa il paio con capolavoro.
Ciò che subito salta agli occhi è l'evidente cambio stilistico approntato per l'occasione da quelli che possono considerarsi tra i primi e maggiori esponenti dell'heavy metal, cambio stilistico che come già avvenuto in passato, ad esempio ai tempi del tanto ingiustamente bistrattato Turbo, provocherà profonde divisioni sia tra i loro sostenitori sia più in generale tra critica e pubblico.
Il carismatico singer Rob Halford, fresco di bentornato in casa per la buona prova offerta nel già citato Angel Of Retribution, sembra abbandonare quasi del tutto le tonalità più alte e gli acuti più strazianti che lo avevano imposto come una delle voci emblema del panorama metal, per assestarsi invece quasi sempre su tonalità medio-basse, offrendo tuttavia una prova convincente ed evocativa che ben si sposa con le atmosfere dark (ricordo dei loro lontani esordi, con inevitabile riferimento al masterpiece Sad Wings Of Destiny), maestose e solenni ricreate dalla massiccia e quasi ingombrante presenza di tastiere ed orchestrazioni degne della migliore tradizione classica ed operistica, con tanto di violini, organi ed archi, mentre le chitarre sono quasi relegate ad un ruolo di semplice accompagnamento, sicuramente meno preponderante rispetto ad un passato che vedeva i riff, i solo e gli incroci della coppia Tipton e Downing assoluti protagonisti.
Ed è proprio questa la svolta che meno ti aspetti dai Judas Priest, i quali approdano decisi ad un sound più eterogeneo e meno heavy, in cui confluiscono abbondantemente elementi riconducibili al power metal e soprattutto alla musica classica, in una commistione di generi che si gioca tutta sulle atmosfere solenni ed evocative, particolarmente idonee a trasporre in musica e note le vicende e la vita del leggendario e misterioso profeta.
Ne viene fuori un lavoro eccessivamente compatto ed in grado spesso di ben rappresentare musicalmente i temi trattati, in cui a lasciare non pienamente soddisfatti però è proprio la linearità e la costanza della proposta, che davvero poco concede alle sfuriate propriamente heavy del loro classico sound e che a lungo andare finisce con il risultare un po' spossante, per cui, nonostante sia da ritenersi sempre apprezzabile il coraggioso tentativo di una band di innovarsi, si deve giungere alla conclusione che lo stesso tentativo, pur se pienamente raggiunto, non può considerarsi altrettanto pienamente riuscito e proficuo.
Non a caso brani più heavy-oriented come l'ottima Conquest e Persecution sembrano arrivare come una manna dal cielo per chi ha apprezzato i Judas Priest più classici e non solo, anche e soprattutto per la loro capacità di spezzare un po' la lunga sequenza di mid-tempos teatrali ed orchestrali che fin dalla strumentale apertura di Dawn Of Creation si susseguono in tracklist, passando per le suggestive e maligne melodie di Prophecy e le epiche atmosfere di Revelations alla teatralità un po' troppo compiaciuta della poco riuscita War e alle influenze più oscure di Sad Wings Of Destiny della più lenta e dark Sands Of Time, la quale in realtà fa da preludio ad uno dei brani che meglio inquadrano, nel bene e nel male, lo stile della nuova opera preistiana, ossia la solenne e teatrale Pestilence And Plague, che sfoggia anche un chorus epico cantato in lingua italiana da Rob Halford.
Stranamente i tempi si abbassano ancora di più nel secondo CD, dove si susseguono anche una serie di slow-tempo e power ballad tediosi e poco convincenti, come peraltro lo era nel primo dischetto Lost Love, quali Exiled o New Beginnings, che non fanno altro che rendere ancor più pesante e spossante l'ascolto completo di questa release, mentre poco aggiungono all'opera nel suo insieme i troppi intermezzi presenti. Soltanto la sfuriata metallica della title-track Nostradamus, Visions, una delle poche a presentare quei riff taglienti ed incisivi propri dei migliori Priest, e la lunga e ben ideata Alone, che ben assimila il loro nuovo stile nella loro più classica essenza heavy metal, sembrano restituire un senso a questa seconda parte del lungo lavoro del quintetto inglese.
Assodato che un simile cambio stilistico a tale punto della lunga carriera degli ormai storici Judas Priest non lo avrebbe previsto neanche lo stesso famoso veggente del sedicesimo secolo di cui parla l'opera, Nostradamus è un lavoro che (come dovrebbe sempre essere) va in ogni caso valutato per quello che è, quindi un album teatrale, evocativo ed atmosferico, una sorta di "metal opera" che propone qualcosa di molto diverso da quanto fatto vedere dagli inglesi in passato, che però riesce a convincere solo in parte, abbandonandosi talvolta ad una compiacenza quasi irritante e cedendo a lungo andare ad un andazzo fiacco e spossante. Naturale chiedersi poi, se una simile virata sarà un caso isolato nella storia della metal band britannica o se invece aprirà ad un nuovo corso, ipotesi quest'ultima francamente meno ipotizzabile considerando la veneranda età di Halford & Co. e la loro già accertata predisposizione per i cambi in corsa.