- Darren Moore - voce
- Frank Brennan - chitarra
- Brian Delaney - chitarra
- Brendan Roche - basso
- Tim Johnson - batteria
1. The Sickness (13:08)
2. Trace Decay (08:46)
3. Primeval Rush (12:44)
4. The Burning Man (10:47)
5. Poison Beyond All (10:31)
A Disease For The Ages
Nati nel periodo di maggior splendore e diffusione del Doom britannico, gli irlandesi Mourning Beloveth hanno acquisito maggior consapevolezza delle proprie abilità attraverso gli anni, giungendo a sfiorare il gioiello discografico con il lavoro del 2005, A Morderous Circus. A distanza di tre anni da quella pubblicazione, il quintetto di Athy prova a riconfermare le aspettative con A Disease For The Ages, un album altrettanto monolitico e ricco di decadenza, che potrà essere apprezzato dai cultori dei primi Anathema, My Dying Bride e Paradise Lost.
Raccogliendo infatti i resti della tradizione degli anni Novanta e fondendola con gli elementi tipici delle nuove leve del Doom, senza scadere in rivisitazioni gotiche o sinfoniche, i Mourning Beloveth si mantengono fedeli ai vecchi canoni: ritmi lenti, growl profondo e penetrante, chitarre soffocanti e atmosfera tormentata sono gli ingredienti di A Disease For The Ages, un platter sicuramente poco originale, ma ben interpretato.
La produzione di casa Grau/Prophecy, ormai divenuta parecchio attiva nel genere (basti ricordare le pubblicazioni dei Keen Of The Crow, dei Longing For Down e dei connazionali Mael Mordha), rappresenta un punto di forza per i Mourning Beloveth, che si dilungano su tracce lunghe ed articolate, descritte da strazianti dialoghi di chitarra e voce.
The Sickness sembra fuoriuscire dai passati dischi degli olandesi Officium Triste, costituendo un’ottima prova a livello qualitativo, ma non destando particolarmente l’attenzione per i suoi aspetti innovativi. Tutte le canzoni di A Disease For The Ages peccano infatti in personalità, poiché rari sono gli intermezzi acustici o le interruzioni meditative che permeano ormai i lavori di altre formazioni come i Draconian.
In definitiva, riferendosi ad un lavoro come A Disease For The Ages, si deve sottolineare come la sua voluta pesantezza non permetta ai Mourning Beloveth di raggiungere i risultati del precedente A Morderous Circus. La staticità è infatti già una caratteristica insita nel genere e quindi le soluzioni impiegate devono conservare qualche tratto di brillantezza compositiva; si consiglia pertanto A Disease For The Ages agli irriducibili del Doom, che vogliono riscoprire i fasti della triade britannica d’inizio anni Novanta, senza prestare troppa attenzione alla data di pubblicazione di questo full-length.