- Mike Sullivan - chitarra
- Dave Turncrantz - batteria
- Brian Cook - basso
1. Campaign
2. Harper Lewis
3. Station
4. Verses
5. Youngblood
6. Xavii
Station
I Russian Circles, terzetto post-metal americano, più precisamente nato a Chicago, torna sulle scene internazionali con un nuovo full-lenght, dopo il già buono Enter. Dopo aver fatto da spalla e co-headliner a band del calibro di Mono, Minus The Bear e ai compaesani Pelican, nel 2007 la band riesce a condividere il palco con un nome del calibro dei Tool, raggiungendo un grado altissimo di psichedelica profusa e di sperimentazione audio/visiva nei loro concerti.
Il secondo capitolo discografico dei Russian Circles, ovvero Station, non risente (o almeno non in maniera troppo significativa) del cambio di label attuato dalla band, né tantomeno della dipartita del bassista Colin DeKuiper. Le parti di basso di Station furono quindi affidate all’ex- Botch Brian Cook. Il suono rimane comunque pulito e interessante, e le costruzioni armoniche balzano subito all’orecchio dell’ascoltatore, rendendo ogni pezzo riconoscibile e assimilabile fin dalle prime volte, non snaturando neanche per un attimo l’attitudine e la propensione compositiva tipica dello sludge/post.
Si comincia con l’accattivante melodia di Campaign, continuamente in crescendo supportato nella seconda parte della song da una ritmica soffusa ma efficace alla quale si sovrappone un tappeto pianistico che rende colma l’atmosfera creata. Questi stilemi verranno ripresi in quasi tutte le canzoni del lotto, mostrandoci un puzzle di sei tasselli, tutti interamente strumentali. Harper Lewis viene introdotta da un fraseggio molto aggressivo e “duro” di batteria e basso, per poi alternare parti al limite del metal, distorte e sincopate a sezioni pulite e ricche di tensione. Questi saliscendi e progressioni lo rendono uno dei pezzi più diretti, esplosivi e interessanti di questo Station, quasi alla pari della successiva title-track, dall’incipit saltellante e dalle sfumature così tremendamente sludge. Da qui si può attingere la portata della molteplicità delle influenze raccolte dai Russian Circles, andando dalla musica “post” in generale per arrivare al progressive settantiano e ad alcuni lidi più propriamente metal, riscontrabili in più di un passaggio. Il post-rock di matrice Explosions In The Sky e Mogwai si fa sentire nel quarto tassello, ovvero Verses: echi di violini e trame chitarristiche completamente in clean la fanno da padrone in questo frangente, insieme ai riverberi sullo sfondo, che ci portano ad giungere a Youngblood, dominata dalla ritmica e da convulsioni post-rock degne di nota. Ultimo pezzo del puzzle è Xavii, il più breve di tutti, e l’unico con un tappeto di organo ad accompagnare gli strumenti alla fine di questo Station.
Station non delude le aspettative dei fan dei Russian Circles, dimostrandosi un album di tutto rispetto, non eccezionalmente innovativo o maestoso ma degno almeno di qualche ascolto, viste le diverse influenze e chiavi di lettura che ci vengono proposte. Dopo un esordio molto interessante, i Russian Circles non calano, anzi sfornano un disco lievemente migliore del precedente, facendoci presagire ottime cose per il futuro di questo trio americano.