- Adam Duritz - voce
- David Bryson - chitarra, banjo, mandolino
- Dan Vickrey - chitarra, banjo, backing vocals
- David Immerglück - chitarra, mandolino, tres cubano, backing vocals
- Jim Bogios - batteria, percussioni, tamburini, maracas, backing vocals
- Charlie Gillingham - tastiere, piano, armonica, hammond, vibraphone, mellotron, harmonium, backing vocals
- Millard Powers - basso, backing vocals
(Saturday Nights)
1. 1492
2. Hanging Tree
3. Los Angeles
4. Sundays
5. Insignificant
6. Cowboys
(Sunday Mornings)
7. Washington Square
8. On Almost Any Sunday Morning
9. When I Dream Of Michelangelo
10. Anyone But You
11. You Can't Count On Me
12. Le Ballet d'Or
13. On A Tuesday In Amsterdam Long Ago
14. Come Around
Saturday Nights & Sunday Mornings
Sono passati ben sei anni dall'ultimo Hard Candy e addirittura quindici da quel magico esordio con August & Everything After, che li consacrò fin da subito come una delle maggiori rivelazioni che il rock americano abbia saputo produrre nel corso degli anni '90, ma dal 2002 c'è stato soltanto un susseguirsi poco incoraggiante di voci ed insinuazioni, ecco perché si erano moltiplicate attese e speranze verso il nuovo lavoro dei Counting Crows, che in tempi più recenti avevano lasciato testimonianza della loro presenza soltanto con la carina e radiofonica Accidentally In Love, appositamente scritta per la colonna sonora di Shreck 2.
Il nuovo disco dei Counting Crows è un po' il sentito squarcio di un ritratto di vita, evidentemente nato da vicende personali vissute in prima persona nel corso di questi sei anni, ed esprime sin dal titolo due diversi stati d'animo, diversi ma spesso consequenziali, quello sfrenato e caotico delle notti del sabato e quello riflessivo e malinconico delle mattine della domenica. Ed allora Saturday Nights & Sunday Mornings esprime chiaramente sin dal titolo queste due medaglie dell'animo umano, esibendo una prima parte, Saturday Nights appunto, interamente dedicata a quel senso di eccitazione, di abbandono, di voglia sfrenata ma spesso inconcludente di vivere, ed una seconda invece, Sunday Mornings, diretta a raffigurare quel senso di vuoto e di rivalsa scaturente da un resoconto introspettivo e spesso tormentato che segue la mattina seguente la sbornia o i divertimenti esagerati del sabato notte.
A rimarcare questa netta divisione tra "Saturday Nights" e "Sunday Mornings" i Corvi di Adam Duritz hanno pensato bene di mostrare la loro faccia più rock nelle prime sei canzoni, dove la produzione è affidata a Gil Northon (Pixies, Foo Fighters), e quella più folk/country e cantautorale per i restanti otto brani, affidata invece a Brian Deck e figlia di una lunga tradizione che vede in gente come Bob Dylan e Joni Mithcell i più vicini punti di riferimento.
Si assiste allora ad una partenza sprint con 1492, sicuramente la traccia più viscerale e rabbiosa di questo lavoro, caratterizzata da chitarre distorte ed un sound dal taglio alternative che, seppure a brevi ed alternati tratti, ricorda non poco i Foo Fighters, a cui segue un po' sulla stessa scia Hanging Tree, ancora tra chitarre distorte e melodie orecchiabili riconducibili a quello che è stato il loro sound ai tempi di Recovering The Satellites, non a caso anch'esso prodotto da Gil Northon.
I due brani rendono bene l'atmosfera caotica e sfrenata dei sabati notturni, per cui si rimane un po' spiazzati nel trovarsi di fronte alla struggente e nostalgica ballata Los Angeles, scritta insieme a Ryan Adams, come alla sentita e tormentata Insignificant, altro pezzo forte del platter, graziata dalle sue melodie, dagli arrangiamenti curati e dall'ottima interpretazione di Duritz. Più leggera e frivola ma ugualmente convincente e piacevole Sundays, soprattutto per via del suo bel ritornello, ed infine Cowboys chiude in maniera ampiamente positiva questa prima parte rispolverando l'approccio più duro e viscerale dei primi brani.
Ad introdurre le atmosfere più pacate, introspettive e riflessive del "Sunday Mornings" è Washington Square, in cui inizia a farsi largo il tradizionale folk/country americano come quella sensazione di discontinuità volutamente ricercata dalla band, che adesso si affida principalmente alle delicate note del piano e alle leggere, quasi timide, plettrate dell'acustica, puntellando però con dovizia ed una certa ratio i vari brani con diversi strumenti, come armonica, hammond, banjo e mandolini. Nel complesso però questa seconda parte sembra più debole, anche a causa di un'eccessiva presenza di brani che alla fine risultano superflui, alcuni persino quasi complementari tra loro, come le leziose e soporifere On Almost Any Sunday Morning e On A Tuesday In Amsterdam Long Ago, come noiosa, prolissa e troppo monocorde suona Le Ballet D'Or. La delicata e carezzevole When I Dream Of Michelangelo e Anyone But You sono già un bel passo avanti rispetto ai pezzi sopra citati, ma le cose migliori di questa seconda parte si riscontrano in You Can't Count On Me, primo singolo estratto, molto incline a quella che è l'essenza propria dei Counting Crows, e la closer Come Around, malinconico e grintoso brano dal sapore un po' springsteeniano, l'unico di questa seconda parte prodotto da Northon.
Saturday Nights & Sunday Mornings rappresenta sicuramente un buon ritorno per i Counting Crows, che si sono qui addentrati nell'ambizioso tentativo di scindere l'essenza più radiofonica da quella più folk della loro musica, forse a seguito delle critiche ricevute per Hard Candy e soprattutto Accidentally In Love, in una prima parte più dura ed elettrica, ma sulla scia più mainstream dei loro successi passati, ed una seconda più intima e cantautorale che però sembra emergere con più difficoltà. Naturale che siamo ancora in molti a preferirli com'erano prima, quando riuscivano a conquistare tutti con August & Everything After e deliziare con brani come Mr. Jones, Anna Begins, Omaha e tanti altri, ma un ritorno a questi livelli rappresenta comunque un punto a favore per una band che un pò tutti davano ormai in difficoltà.