Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Elektra Entertainment
Anno: 
1995
Line-Up: 

- Phil Anselmo - voce
- Pepper Keenan - chitarra
- Kirk Windstein - chitarra
- Todd Strange - basso
- Jimmy Bower - batteria

Tracklist: 

1. Temptation’s Wings
2. Lifer
3. Pillars Of Eternity
4. Rehab
5. Hail The Leaf
6. Underneath Everything
7. Eyes Of The South
8. Jail
9. Losing All
10. Stone The Crow
11. Pray For The Locust
12. Swan Song
13. Bury Me In Smoke

Down

NOLA

Non c’è che dire, l’esperienza paga ed i cinque di New Orleans ce lo vengono a dire dritto in faccia. Nomi noti della scena che, legati da una forte amicizia (o solo una forma di sopravvivenza reciproca contro le sofferenze della vita), decidono di unirsi per un’avventura dal nome Down e sospendere i rispettivi già noti cammini. E’ così che Phil Anselmo (leader maximo dei Pantera), Pepper Keenan (vascello trainante dei Corrosion Of Conformity) e 3 delle 4 colonne portanti dei Crowbar, si uniscono per partorire un vero capolavoro degli anni ’90 la cui forza sta proprio nel valorizzare l’Hard & Heavy dei decenni precedenti e quel Southern Rock tanto caro ai nostri amici luisiani.

Scelta facile? Non proprio, considerando lo spessore delle canzoni e l’energia che riescono a sprigionare. Per album come questi infatti è totalmente inutile stare a discutere di riff, refrain o tecnicismi vari: l’unica chiave di lettura sta nelle emozioni che le note e l’immensa carica di groove portano con sé. Sofferenza, morte, odio, evasione, questi i temi trattati da un Phil ispiratissimo (chi meglio di lui può farlo dopo quei dannati cinque minuti di morte clinica per overdose?) e le sensazioni si riescono a toccare con mano. Potenza, ancora groove, puro sludge, headbanging e nessuna mezza misura sono le parole d’ordine della musica che i cinque riescono a creare tralasciando la maestria nell’esecuzione mai improntata in passaggi sofisticati né in scale da paura.

Un viaggio introspettivo nell’anima di Phil e forse di 100.000 altre persone, ecco cosa rappresenta NOLA, forte di un linguaggio musicale davvero inopinabile: i Down infatti pescano a man bassa da Black Sabbath, Deep Purple, Ted Nugent e compagnia varia senza alcuna pretesa di voler modificare l’immodificabile, di attualizzare ciò che forse nel ’95 poteva essere detto in una nuova forma, ma loro hanno preferito non disconoscere le proprie radici (addirittura Stone The Crow suona molto Lynyrd Skynyrd).
E così come quando si giunge ad una vetta altissima e ci si sofferma a guardare a testa alta le altre alture, Lifer spazza via l’impatto già davvero devastante dell’opener Temptation’s Wings, promuovendo la forza dell’individualità e la rocciosità di un sound che entra dritto nelle vene. E dopo alcune pillole di encomiabile musicalità (Rehab è un vero e proprio frullato di rabbia e pazzia) si giunge ad un’altra montagna irraggiungibile, Underneath Everything, vera valvola di sfogo per un uomo che ha raggiunto tutti i limiti immaginabili, che ha sopportato e sofferto tanto e che a questo punto sputa fuori davvero tutto senza curarsi di null’altro.

E come tralasciare l’emotiva Jail che tocca tutte le corde della sensibilità umana in pochissime righe, passando dall’amore alla fede, dalla sofferenza alla solitudine, il tutto colorato da un’atmosfera acustica alla Planet Caravan. Ma poi ci si rende conto che tutto passa ed arriva Losing All, un vero e proprio tifone che non lascia alcuno scampo con il suo ritmo forsennato compiendo un ulteriore passo verso l’immortalità. Il rientro dal viaggio è lasciato alla splendida Bury Me In Smoke, il cui habitat naturale è il palco vantando di trascinare la mente umana verso orizzonti ancora inscoperti rispetto alle 12 tracce precedenti e soprattutto riuscendo nel delicatissimo compito di evitare quel senso di vuoto che in genere la chiusura di un album così fondamentale lascia dentro.

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