Voto: 
6.3 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Frontiers Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Glenn Hughes - voce, basso, chitarra elettrica ed acustica
- Chad Smith - batteria, percussioni
- Luis Maldonado - chitarra elettrica ed acustica
- Anders Olinder - tastiere

Guests:
- JJ Marsh - chitarra in Oil And Water e Too Late To Save The World
- George Nastos - chitarra in Never Say Never e We Go To War 
- Ed Roth - tastiere in First Underground Nuclear Kitchen e Never Say Never, piano in Love Communion

Tracklist: 

1. Crave
2. First Underground Nuclear Kitchen
3. Satellite
4. Love Communion
5. We Shall Be Free
6. Imperfection
7. Never Say Never
8. We Go To War
9. Oil And Water
10. Too Late To Save The World
11. Where There's A Will

Hughes, Glenn

First Underground Nuclear Kitchen

First Underground Nuclear Kitchen, ossia F.U.N.K., genere che Glenn Hughes, da sempre una delle voci più quotate del panorama hard rock, ha voluto mischiare con il suo rock, dando vita ad un sound dal suono originale ed unico, che non trova particolari punti di contatto neanche con lo sleaze dei vari Extreme o Bang Tango, dato il carattere più pulito e tipicamente funk, genere che qui assume carattere prevalente, evitando appunto di proporre quell'hard rock "sporcato" di funk, anzi semmai qui avviene proprio il contrario.
In realtà, il sodalizio tra Glenn Hughes ed il funk non è affatto nuovo, risale addirittura alle sue origini artistiche e, seppure in misura meno evidente, era stato proposto anche nel precedente Music For The Divine, ma adesso anche grazie al valevole apporto dell'amico Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers alla batteria, già presente nel citato disco del 2006, e di Luis Maldonado alla chitarra, il lato più funk della sua musica emerge in maniera chiara e predominante.

First Underground Nuclear Kitchen segue e mantiene quindi queste coordinate stilistiche, anche quando si lasciano quei toni più esuberanti e dinamici, percepibili fin dall'opener Crave, per approdare a momenti più posati ed intimi, volutamente tesi ad addentrarsi in territori soul, come avviene con Love Communion e la closer Where There's A Will. Una delle poche concessioni al suo più canonico hard rock sembra essere Too Late To Save The World, dove infatti è presente la chitarra dell'amico JJ Marsh, brano che tuttavia non si allontana troppo da quello che è il mood generale del disco, mantenendosi sulla scia di un hard/funk quasi forzato e quindi svuotato di ogni possibilità di coinvolgimento. Il veterano vocalist e bassista inglese per fortuna si riabilita in parte con le delicate Satellite e Imperfection, tra le canzoni lente sicuramente le più autentiche ed efficaci, ben rese da melodie suadenti e dalla voce carezzevole del singer.
Va inoltre un po' meglio quando Hughes non cede a compromessi, confezionando così canzoni funk dal retrogusto ora più blues, come avviene con First Underground Nuclear Kitchen, spumeggiante nel suo incedere, abbastanza vivace ed orecchiabile, o con We Shall Be Free, più sentita e carica di pathos, ora più rock, come nel caso di Oil And Water, altra piccola concessione ad un più duro e ruvido hard rock, con un JJ Marsh ancora una volta sugli scudi.
Nel complesso però si respira un evidente calo ispirativo in fase di songwriting, che si tramuta poi in una sequenza di brani dal basso profilo, alcuni dei quali decisamente evitabili, Never Say Never su tutti, e comunque il disco non da mai l'impressione di poter decollare, alternando sprazzi di buona musica a tanti passaggi davvero trascurabili.


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