- Terry Collia - Voce, Chitarra acustica
- Alex Hathaway - Chitarra elettrica, Flauto, Basso, Piano
Guests:
- Kim Larsen - Cori, Chitarra acustica ed elettrica, Sintetizzatore
- Henryk Vogel - Spoken words, Basso, Percussioni
- Isaac Aubrey - Cori
- Nadja - Violoncello
- Valentin - Violino
- Jrole, NNY (Catonium) - Suoni
1. Frustration (3:52)
2. Let Us Kiss and Part (3:25)
3. Always Faithful (2:01)
4. Fragmented Hearts (4:26)
5. Cold Comfort (3:49)
6. I Still Wonder (3:55)
7. Hope and Pain (3:52)
8. Refuge of Lies (4:05)
9. Untitled (2:56)
10. A Ghost to Be Forgotten (3:45)
11. Followe Thy Faire Sunne Unhappy Shaddowe (11:55)
A Ghost To Be Forgotten
“A Ghost to be Forgotten” degli In Ruin è la pubblicazione con cui la Heidenvolk punta a fare il grande passo, trasformandosi da etichetta 'personale' dei Darkwood a label pronta a investire su altri progetti, purché degni della stima del 'creatore' (sia di Heidenvolk che di Darkwood) Henryk Vogel.
A meritarsi la prima occasione – di quella che, ci auguriamo, sarà una lunga serie – offerta dalla label sono gli statunitensi In Ruin, nati nel 2002 come progetto solista di Terry Collia (voce, chitarra e synth) ma ampliatasi recentemente con l'ingresso in pianta stabile di Alex Hathaway (chitarra, basso, piano e flauto), e finora attivi solo con un demotape, “Seeds of the Past” (originariamente risalente al 2003, ristampato nel 2004), pubblicato in una manciata di copie e caratterizzato da un sound piuttosto scarno e minimale: un fattore derivante, oltre che dalla visione artistica di Collia, soprattutto dall'unicità del suo contributo – la situazione è ora rinnovata, in quanto il suono degli In Ruin risulta più ricco e sfaccettato, grazie all'aiuto di Hathaway e di un buon numero di ospiti, tra cui spiccano i nomi del già presentato Henryk Vogel e del noto Kim Larsen, mente degli Of the Wand and the Moon e ispiratore di una buona quantità delle idee che si troveranno in questo album.
Questo “A Ghost to Be Forgotten” è difatti piuttosto debitore delle esperienze sonore del sopracitato progetto danese, sebbene manchi del sentore paganeggiante che spesso pervade le opere di Larsen; qui, invece, troviamo sapori freddi, depressi e ombrosi (non solo a livello musicale, ma anche a livello tematico) con tristi arpeggi acustici contornati da più gelidi rintocchi elettrici o, in alternativa, da minimali accompagnamenti di tastiera o degli archi; altrove (“Let Us Kiss and Part” e “Always Faithful” in particolare) si nota invece l'influsso dei soavi e soffusi Death in June dell'epoca “Rose Clouds of Holocaust”, con voce suadente, leggeri interventi dei fiati sintetici in sottofondo, pennate acustiche delicate e un'atmosfera piuttosto distesa e nebulosa.
A rendere il disco piuttosto interessante è quindi la relativa abbondanza (rapportata alla media del genere e alle ripetitive muse da cui Collia è stimolato, ovviamente, non in senso assoluto) e diversità degli spunti musicali – i pacati inserimenti di violini e violoncelli, gli inquieti sfondi Ambient, le aggiunte melodiche del pianoforte e del flauto, il ritmo rigido della batteria, la chitarra elettrica solista che, pur con suoni smussati, intacca gli intrighi acustici per esaltare i momenti più scomodi e vibranti dei pezzi: sono tutte soluzioni utilizzate con discreta bravura, che contribuiscono a rendere l'ascolto piuttosto svelto e piacevole, nonostante gli oltre quarantacinque minuti di durata e l'atmosfera piuttosto deprimente (la title-track potrebbe essere fare parte di qualche disco di Rock/Metal depressivo, in quanto interamente basata su mesti arpeggi elettrici e sussurri soffocati).
Come momento più brillante del disco si segnala la quarta, altamente atmosferica “Fragmented Words”, basata su un semplicissimo quanto efficace giro di basso e condotta dalla greve recitazione di Vogel, il cui potenziale espressivo è incrementato dai soffi, dai cori e dai sibili facenti parte delle ambientazioni Dark Ambient (ad opera del duo svedese Catonium) che sfilano in background, mentre l'inserto finale di violini alleggerisce con eleganza un'atmosfera che iniziava a farsi tesa, restituendo linfa vitale al brano; merita citazione, inoltre, l'episodio forse più stuzzicante, ovvero la conclusiva “Follow Thy Faire Sunne, Unhappy Shaddowe”, classica ballata della tradizione folcloristica inglese portata nel 'giro' Neo Folk dagli Of the Wand and the Moon prima (è contenuta in “Lucifer”, 2003) e dai Sonne Hagal poi (sull'EP “Nidar”, 2005), qui eseguita con buona personalità dagli In Ruin, con il violoncello e il lontano rintocco del pianoforte a ingentilire i secchi colpi delle percussioni e ad enfatizzare i misteriosi bisbigli delle voci di Larsen e Collia.
Un album decisamente positivo (nella qualità, ma non nei toni), dunque, questo degli In Ruin, che giustifica il lungo tempo di gestazione (oltre tre anni) con un buon range stilistico e un'evoluzione sonora rispetto al passato; “A Ghost to Be Forgotten” si dimostra un apprezzabile punto di partenza, sia per la Heidenvolk – che bagna il proprio debutto extra-Darkwood con una release di buonissimo spessore – sia per Collia e Hathaway che, forti di una solida release sulla lunga distanza, possono ora puntare a far conoscere le proprie potenzialità.
LINKS PER L'ASCOLTO:
http://www.myspace.com/inruinneofolk