- Mark Evans - batteria
- Chris Herin - chitarra
- Paul Rarick - voce
- Jeff Whittle - basso
1. Hide In My Shadow (05:43)
2. Sacred & Mundane (05:26)
3. Back & Forth (06:02)
4. Landscrape (04:31)
5. Markers (06:55)
6. Dragons, Dreams & Daring Deeds (08:09)
7. Crowded Emptiness (04:06)
8. Hide & Seek (08:31)
Fly Paper
Raccogliendo la tradizione dei canadesi Rush e fondendola con lo stile delle nuove formazioni della scena statunitense, i Tiles, quartetto originario di Detroit, danno alla vita il quinto full-lenght di studio Fly Paper, continuando nella direzione intrapresa con il precedente Window Dressing, ma soprattutto con Presents Of Mind, datato 1999.
I Tiles sono attivi dal lontano 1993 e possono essere considerati tra le formazioni più significative della seconda ondata del Progressive americano, quella successiva alle realizzazioni iniziali dei validissimi Dream Theater, Queensryche, Psychotic Waltz e Fates Warning. Tuttavia la band di Detroit non ha mai riscontrato un successo paragonabile a quello degli acts sopra citati, rimanendo così nell’ombra per diversi anni.
Ascoltando un disco come Fly Paper si riesce comunque anche a comprendere il motivo di tale fallimento da parte dei Tiles, poiché le architetture sonore proposte non sono nient’altro che una emulazione dei vecchi Rush, senza pretese tecniche o elementi distintivi particolari.
Tralasciando temporaneamente l’ambito della registrazione/produzione, che è scadente e confuso nella commistione dei timbri (rispetto ai soliti standard Inside Out), e soffermandosi quindi sulla resa del quintetto, si può da subito notare come Paul Rarick fatichi a far emergere un cantato efficace ed espressivo. Le linee vocali sono uno dei punto deboli dei Tiles, che però presentano non pochi problemi anche dal punto di vista strumentale, tessendo capitoli decisamente ripetitivi e privi di mordente.
Il Progressive Rock che permea canzoni come Sacred & Mundane o Back & Forth cerca di tendere alla sensibilità tipica degli anni Settanta, ma scade in uno stile disomogeneo e dalle strutture pesanti.
Qualche buona soluzione affiora nella quinta Markers, più sommessa e dotata di un’atmosfera composta e raffinata; le chitarre acustica ed elettrica dialogano tra loro in modo convincente, permettendo alla voce di adattarsi anche sul tappeto percussivo di base.
In generale però le sezioni piatte dominano in Fly Paper, un album provvisto di testi abbastanza banali, ulteriore punto a sfavore dei Tiles che, più proseguono nell’esecuzione, più si mostrano in caduta libera.
Pertanto all’interno di un panorama che attualmente sta offrendo davvero poco (soprattutto nel settore americano), i Tiles rappresentano l’ennesimo tentativo di ripercorrere meandri già sviluppati, producendo un disco di 49 minuti, dove le parti che realmente si salvano sono davvero rare.
A chi ama il genere pertanto si consiglia di rispolverare uno storico disco dei Rush piuttosto che cimentarsi in realtà prive di innovazione ed ingiustamente privilegiate da importanti etichette come la tedesca Inside Out.