- Justin Greaves - Chitarra, Batteria, Voce
- Dominic Aitchinson - Basso, Effetti
- Joe Volk - Chitarra acustica
- Charlotte Nichols - Violoncello
- Max Milton - Tromba, Violino, Viola
1. Lament of the Nithered Mercenary
2. Really, How'd It Get This Way?
3. Whistler
4. Suppose I Told the Truth
5. When You're Gone
6. Long Cold Summer
7. Goodnight, Europe
8. You Take the Devil Out of Me
9. Northern Cobbler
10. My Enemies I Fear Not But, Protect Me from My Friends
11. I'm Almost Home
12. Sharks & Storms/Blizzard of Horned Cats
A Love Of Shared Disasters
Due musicisti della portata di Dominic Aicthinson (bassista dei Mogwai ) e Justin Greaves (ex batterista degli Electric Wizard) messi insieme non possono far altro che stupire. Il primo, bassista tutt'altro che virtuoso ma compositore profondo e sempre attento alle emozioni, il secondo, batterista dinamico e che in questo lavoro si mostra ancora più versatile delle aspettative: i Crippled Black Phoenix sono il risultato di questa fusione musicale che fa venire ancor di più l'acquolina in bocca se si pensa a chi brama nell'ombra dietro il progetto: il buon vecchio Geoff Barrow dei Portishead che ha tanto voluto fare da Mecenate a questo astro nascente del nuovo post rock.
Si parla spesso male del post rock, lo si ritrae come un genere ormai vuoto della spinta innovativa del suo periodo iniziale, nessuno ne vuole sentir parlare, sempre la stessa roba e così via fino a riempire miriadi di papiri; e in fondo il senso di soddisfazione che ti scorre dentro quando ti ritrovi tra le mani un gran disco post rock ti dona una goduria senza eguali, giusto per far capire agli scettici che non si tratta di un capitolo della musica moderna già chiuso da un pezzo, che non si tratta di un fenomeno da baraccone che la sua misera vita ha avuto e i suoi inutili doni ha dato, che, semplicemente, il post rock, per quanto sia poi diventato un'ambigua tendenza, rappresenta una delle più interessanti facciate della musica dell'ultima decade.
Il 2007, a livello di annata musicale, non ha fatto altro che sottolineare quest'aspetto, basti pensare agli importanti lavori di neonate band quali Long Distance Calling o Shels , alla particolarità di acts come Destroyalldreamers , Caspian e Gravenhurst , nonchè alla conferma di mostri sacri del genere quali Do Make Say Think ed Explosions In The Sky . Una stagione che ha dato i suoi frutti, frutti che sono stati in parte raccolti, in parte lasciati a marcire. Eppure, dei Crippled Black Phoenix in pochi ne han parlato, quando invece il loro A Love Of Shared Disasters si pone senza subbio tra le più affascinanti scoperte dell'anno in ambito sperimentale, un disco che non farebbe fatica a surclassare il ritorno sulle scene dei "rivali" Explosions In The Sky, e che con altrettanta facilità riuscirebbe a penetrare l'ascoltatore come solo in pochi sono riusciti a fare nella storia del genere. In A Love Of Shared Disasters Dominic Aitchinson scarica in qualche modo le pulsioni più ricche e naturali che nei Mogwai faticavano a venire fuori sopraffatti da quel suono che nel corso di una carriera quasi decennale è diventato più di un marchio di fabbrica; le canzoni di questo disco presentano infatti una fluidità terribilmente naturale, con intrecci strumentali assolutamente impeccabili e melodie che in un batter di ciglia passano dallo strappalacrime all'inquieto e al misterioso.
Un post rock di questo tipo difficilmente si era sentito nel corso degli anni, forse per le sue lievi influenze indie, forse per il suo tocco così raffinato e penetrante, forse perchè non ci sono scusanti per motivare la sua bellezza. Aitchinson snatura la sua vena compositiva rimodellando gli andamenti emotivi/stilistici che lo caratterizzavano, dando un taglio meno netto e macchinoso e lasciando spazi ad estese cavalcate emotive che nei Mogwai venivano soppresse da un indole più moderna e, scusate il termine forzato, industriale. A Love Of Shared Disasters è una danza soffusa e penetrante in atmosfere sospese e leggere, quasi come se le note di chitarra e le cornici ritmiche non pesassero nulla, come se non esistessero, come se fossero direttamente immerse in una nebbia che soavemente ci vola sopra la testa. Escludendo infatti, la opener The Lament Of The Nithered Mercenary, rumoroso episodio d'apertura, il disco si scioglie in piacevoli serie di passaggi e intrecci tipicamente post rock ma con un'attenzione alla sfera emotiva che sorprende immediatamente, già a partire dalla seconda Really, How'd It Get This Way?, una ballata lenta e dal dolce andamento con armoniche e pianoforti a tessere precisi contorni sonori, mentre con The Whistler viene fuori l'anima più ambient e desolata del combo (poi ripresa anche nella lunga Long Cold Summer): atmosfera distesa ma in cui non si riescono a percepire odori, mancanza di riferimenti e un vuoto che si propaga lentamente attraverso voci e suoni abbandonati.
Ma il meglio deve ancora venire, perchè quando canzoni del calibro di You Take The Devil Out Of Me, My Enemies I Fear Not, But Protect Me From My Friends e Sharks & Storms / Blizzard Of Horned Cats, tre piccoli gioielli di emozioni, brividi, atmosfere e pensieri, semplici ma altrettanto intensi: You Take The Devil Out Of Me è una ballata a metà tra acustico ed elettrico, con voci che sporadicamente irrompono affiancandosi calibratamente alle chitarre che da sole sostengono questo brano; My Enemies I Fear Not, But Protect Me From My Friends è poi forse il vero capolavoro di tutto il disco, aperto da un criptico incedere di tastiera a cui si poi si aggiunge una chitarra lenta e tagliente e una voce oscura e misteriosa, prima che l'atmosfera si dilati e si apra in uno struggente canto di solitudine e disperazione. La conclusione affidata alla già citata Sharks & Storms / Blizzard Of Horned Cats è poi l'ultima perla dell'album, perfetta chiusura di sipario che raccoglie tutti i frutti seminati in precedenza dal gruppo lungo il corso del disco: i soliti refrain commoventi a cavallo tra post rock e indie, arrangiamenti superbamente organizzati nonostante la loro semplicità e un'intensità interiore che mai si placa tranne quando, in quei pochi casi in cui accade, l'accoppiata Aitchinson/Greaves cede terreno e perde quell'impatto emotivo che era saldamente venuto fuori.
Non sarà un capolavoro senza tempo, non sarà il nuovo baluardo della musica sperimentale, indubbiamente non verrà ricordata quasi da nessuno, ma A Love Of Shared Disasters si colloca, forse per mancanza di concorrenti ma soprattutto per la sua bellezza, tra le migliori uscite in ambito post rock di quest'ultimo anno di musica. Sembra quasi di rivivere i dorati albori di questo genere quando i Crippled Black Phoenix cominciano a suonare, riportando innanzi agli occhi quelle atmosfere ma soprattutto quei sapori e quelle dimensioni emotive che si sono disperse per l'ossessionante ricerca di uno stile originale e inconfondibile che ha inglobato una miriade di gruppo post rock.
A Love Of Shared Disasters non è una rivoluzione nè un evoluzione di niente, non cambia le carte in tavola di alcun genere, magari proprio perchè Aitchinson ha smesso di pensare: "voglio comporre post rock" e si è diretto subito verso lo stile che al meglio poteva esprimere le sue sensazioni e i suoi pensieri, e che si tratti di post rock, indie o ambient, non importa, perchè si tratta semplicemente di buona musica e, diciamocelo, ad un ascoltatore appassionato questo basta. E magari avanza pure.