Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Reprise Records
Anno: 
1970
Line-Up: 

- Christa Päffgen (in arte Nico) - voce, harmonium, clavicembalo, prompter
- John Cale - voci, arrangiamenti, tutti gli strumenti tranne la tromba
- Adam Miller - voci
- Annagh Wood - voci
- Ari Boulogne - voce su Le Petit Chevalier
 

Tracklist: 

1. Janitor of Lunacy
2. The Falconer
3. My Only Child
4. Le Petit Chevalier
5. Abschied
6. Afraid
7. Mütterlein
8. All That Is My Own

Nico

Desertshore

Forse è il caso di ponderare riguardo la stranezza nel ricordare un certo rinomato periodo, quello fra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70. Lo ricordiamo per la gran quantità di capolavori composti in questi anni, ma spesso ricordiamo solo una parte di questi capolavori. L'esempio più menzionato è quello dei Velvet Underground, il cui primo album con Nico vendette appena un centinaio di copie (ciò nonostante, fu uno dei dischi più importanti e seminali di sempre), mentre i successivi non ebbero molta più fortuna. Neanche la stessa Nico ebbe grande considerazione dal pubblico dell'epoca, dopo aver lasciato il gruppo per proseguire la sua carriera solista. Eppure, il valore delle sue opere è unico, riuscì in pochi album a regalarci delle perle dimenticate l'una dopo l'altra fino ad arrivare ad esprimere fra le sensazioni più inquiete e angosciate che fossero mai state ascoltate fino ad allora.

Riguardo la bellezza di quel capolavoro perduto che è Desertshore, si giunge con tutta probabilità al culmine del suo personale cammino musicale, una pietra miliare d'avanguardia profonda e vissuta, un disco ambientale e atmosfericamente tetro e addolorato, fra un folk a tinte cupe e le basi da lei gettate per tutto il dark. Reale dark, sentito, sofferto, minimalista. Arrangiamenti essenziali e diretti, in apparenza come scarnificati ma in realtà carichi di emozionalità e avvolgenti come non mai nel nostro imbarcarci nel viaggio verso la "spiaggia desertica". Un oscuro viaggio nei meandri dell'anima umana, alla ricerca del senso dell'esistenza, di un posto in questa vita, alla ricerca di ciò che, anzi, chi si è veramente, accompagnati dalla particolare voce di Nico: secca, fredda e desolata, mentre l'accento è "particolare"; potrebbe risultare indigesto a qualcuno il suo timbro vocale, ma ciò non mina il fascino tutto personale della sua voce, ricca per quanto riguarda l'evocatività e l'espressività.
Si può notare come l'evoluzione iniziata con Chelsea Girl e Marble Index, anche se è proprio quest'ultimo il preferito da lei e dal fedele amico e collaboratore John Cale (come sempre vicino e immerso nelle composizioni) ormai abbia portato Nico in territori sempre più distanti da quelli di pochi anni prima. Lo stesso John descrive la differenza fra la Nico di qualche tempo addietro e questa: non più abiti bianchi, capelli tinti di nero, attitudine più distaccata e profonda. "Visse come in un sogno. Fu un sogno solitario, dove le amicizie occasionali furono ferite e rinnegate. La natura transitoria di tutto questo contribuì a riempire la sua vita con questo fascino disperato. Fu un’esperienza così profondamente personale da essere incredibilmente potente.” la sua descrizione. "Non so bene come faccia a vivere. È una continua lotta tra me e me. Vivo come in un perenne esilio." le affermazioni di lei.

Desertshore è un disco che potremmo definire "sacrale" per la sua forza d'animo, ma forse l'aggettivo più adatto è "sepolcrale" per via della decadenza che sprigiona da tutti i pori e l'apparente mortificazione che propone: il rifiuto della propria precedente umanità è spaventoso e doloroso, ma necessario per ottenere la pace, per ottenere una sorta di liberazione da questa "lotta".

Janitor of lunacy
paralize my infancy
petrify the empty cradle
seal the giving of their seed
disease the breathing grief


recita inquietantemente Janitor of Lunacy, raggelante e misteriosa, fra i suoi oscuri tappeti sonori generati dall'harmonium di Nico e dall'organo di Cale. Desertshore è un'opera minimalista che risponde all'eterna ricerca umana del senso, dello scopo della vita, che incontra il secolare vacillamento fra la serena quotidianità e l'angoscia che si nasconde in essa, il costante senso di alienazione, la mancanza di riferimenti per comprendere la propria identità, ma è anche uno sguardo alla femminilità propria di Nico, alle convinzioni che ne sono associate e la loro inconsistenza, un perscrutare il rapporto fra uomo e donna (Falconer, con le sue atmosfere tetre e desolate) e un'imbracciare la gioia del parto (Mutterlein, tanto sofferente, tanto cupa con i suoi pesanti pianoforti in lontananza), sforzo doloroso e temuto ma proprio per questo bellissimo in quanto generante la vita; ed è anche una rimembranza nostalgica verso la propria perduta gioventù, in cui ancora si possedeva una sorta di purezza e innocenza: la malinconica My Only Child, una specie di lettera di Nico al proprio piccolissimo figlio Ari, e la dolce e melanconica Le Petit Chevalier, cantanta dolcemente in francese dallo stesso Ari. Si giunge alle cupissime e raggelanti tonalità tradizionali di Abscheid in un tormentato dilemma in bilico fra la vita e la morte, la paura del nulla e della finitezza dell'esistenza, dilemma espressivamente accompagnato dal ruvido canto tedesco. L'unica risposta è l'accogliere il nulla, l'accogliere la desolante condizione di isolamento, la contemplazione della vita stessa in quanto tale. A questo punto allora incontriamo Nico, che ci invita a seguirla, se ne saremo in grado, nella metaforica spiaggia desertica, ci invita a prendere coscenza della propria esistenza e ad abbandonare la propria precedente limitata e ingenua umanità, l'ottenebrazione che ci avvolgeva, per trascendere e accettare la propria solitudine (Afraid, un'isola di conforto sonoro ma dal retrogusto tragico). Gli uomini la rifuggono, ma rimangono essi stessi soli e finché saranno tali non potranno liberarsene. Desertshore è un canto notturno inquieto e desolato. Il tetro e ammonitore canto viene lancianto nella solitudine di un deserto, quello dell'animo umano, è un canto che può svanire fra le nebbie del tempo se rimarremo spaventati da esso, così misterioso e intimorente, così sconosciuto, o essere accolto da parte di chi sa, per incontrare la stessa Nico sulla spiaggia desertica:

he who knows may pass on the word I know
and meet me on the desertshore


recita infine All That Is My Own, nascondendo nel senso di smarrimento che pervade le sue sonorità folkloristiche la conclusione del vortice di sensazioni.

Sull'assoluta importanza e originalità di quest'album, vero monumento del dark, denso, evocativo, minimale, si è parlato fin troppo poco rispetto a quanto esso avrebbe meritato. Eppure, Desertshore passò quasi inosservato ai più. Forse è il caso di ponderarci un po' sopra.

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