- Robert Amirian - voce, basso
- Sarhan Kubeisi - chitarra
- Krzysiek Palczewski - tastiera
- Wojtek Szadkowski - batteria
- Jarek Michalski - basso
1. Into The Night
2. Dreams
3. Downtown Skyline
4. Lights
5. Don't Go Away In Silence
6. Heaven Can Wait
7. Forgiven And Forgotten
Into The Night
La sfera Progressive polacca sta diventando sempre più ricca e florida, grazie anche al contributo delle storiche bands degli anni Ottanta, che da anni a questa parte prendono parte agli eventi organizzati nel Paese europeo dell’Est, riscontrando ampi consensi tra il pubblico dei neo-appassionati del genere. Inoltre valide formazioni come i Riverside hanno dato nuova linfa vitale ad uno stile che è mantenuto in vita principalmente dagli acts del Nord Europa e degli Stati Uniti. Anche i Satellite di Wojtek Szadkowski da anni cercano di emergere dal panorama underground, ma i risultati ottenuti non sono stati spesso pienamente soddisfacenti ed efficaci: il progetto del musicista polacco vede prendere parte nella propria line-up gli strumentisti del grupoo neo-Progressive dei Collage, per plasmare un mix di emozioni spaziali, arricchite da un gusto prettamente neo-Prog, di derivazione ottantiana.
Così ha preso forma anche il capitolo conclusivo della trilogia avviata da Wojtek Szadkowski nel 2003 con A Street Between Sunrise And Sunset e il seguente Evening Games (2005): Into The Night è un lavoro che si compone di sette pezzi di media lunghezza, registrati e prodotti abbastanza professionalmente e capaci di spaziare su diverse attitudini musicali, dalle nuove sperimentazioni sonore di Kaipa e Flower Kings ai timbri a tratti spensierati e a tratti meditativi degli storici Marillion di Fish.
Non a caso inoltre l’artwork della cover è stato realizzato da Mark Wilkinson, disegnatore delle copertine degli album del progetto solista di Fish o dei capolavori targati Marillion: la copertina surreale introduce immediatamente nel contesto dell’album, dove spiccano per qualità i brani più complessi ed elaborati, quale il lungo Dreams, suddiviso in tre parti e capace di garantire 13 minuti di intrecci tecnici di notevole spessore. I fiati e la voce nelle sezioni acustiche ripercorrono fin troppo fedelmente i canoni degli immortali Script For A Jester’s Tear e Misplaced Childhood, ma la resa finale è comunque appassionante, tralasciando alcuni collegamenti fin troppo azzardati.
Sebbene cerchino di presentarsi stilisticamente versatili, i Satellite purtroppo non riescono ad emergere da una mediocrità causata più volte dall’esito di una registrazione non impeccabile: Downtown Skyline riecheggia nei suoi torni oscuri fortemente influenzati dal sound misterioso degli inglesi Galahad, Don’t Walk Away In Silence conserva un mood quasi Pop che stona con ciò che prima è stato sviluppato, mentre Heaven Can Wait si presenta come strano ed inatteso connubio tra i Riverside più cupi ed il Progressive dai tratti sinfonici.
In definitiva i Satellite hanno dimostrato sì un crescendo nell’impegno, come dimostrato anche dalla trasferta in Messico per un festival che li ha coinvolti accanto ai “big” Tony Levin e Rudess/Morgenstein Project, ma la strada è ancora lunga, perché il sound del terzo episodio discografico si mostra ancora acerbo e poco coeso nella struttura.
Si auspica che la band di Wojtek Szadkowski possa trovare la propria via, producendo nuove soluzioni in ambito progressivo, per affiancarsi a quelle realtà che stanno portando avanti la bandiera del panorama progressive est-europeo, spesso troppo trascurato ma capace di formare ottime proposte.