Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Rune Grammofon
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Ståle Storløkken - Synth
- Jarle Vespetad - Batteria, Percussioni
- Arve Henriksen - Tromba
- Helge "Deathprod" Sten - Produttore, Elettronica, Effetti

Tracklist: 

1. 8:1
2. 8:2
3. 8:3
4. 8:4
5. 8:5
6. 8:6
7. 8:7
8. 8:8

Supersilent

8

Un silenzio adornato di glaciale rumorismo, cascate di suoni, superbe improvvisazioni e turbolenze strumentali: per descrivere la musica dei Supersilent basta questo? Assolutamente no. Possiamo calarci in asfissianti digressioni per parlare della loro filosofia jazz o delle loro matrici noise, possiamo attaccare con noiosi monologhi descrittivi per capire la loro attitudine elettronica/avantgarde, ma in ogni caso, dopo aver perso inutilmente il fiato, rimarrebbe soltanto questo supersilenzio, fatto di un'atmosfera eterea e fugace, astratta, a tratti quasi kandinskjiana. Un silenzio spirituale che silenzio non è, un silenzio di rumori che in esso si nascondono e prendono forma: magia e disincanto, astrazione e razionalismo. Avvolti da un'aura minimalista e da un atteggiamento assolutamente ermetico, i Supersilent sono tutto ciò che un ascoltatore medio qualunque non vorrebbe mai avere tra le mani, perchè la loro non è semplice musica, non è un processo mediante cui esteriorizzare la propria interiorità, non è un raffigurare idee o pensieri, bensì è un imbrattare i muri del suono con schizzi improvvisi e violenti, senza alcun legame logico o vincolo convenzionale. Quest'anno il gruppo norvegese ha raggiunto i 10 anni di carriera e ha ben pensato di festeggiare quest'importante tappa con un'altra perla della sua discografia "numerata": con 8 i Supersilent tracciano infatti i passi di un'altra danza all'interno dell'improvvisazione e della solita, alienante anarchia sonora.

Voci filtrate con vocoder, tastiere, piatti, synth, trombe, distorsioni asfissianti e chi più ne ha più ne metta, ci danno il benvenuto prima ancora di attraversare la soglia di questo portone scalfito nel cielo: 8:1 (i titoli sono come sempre eloquenti) è un affresco decadente in bianco e nero, il giusto rito di iniziazione di questa marcia onirica, caratterizzata da un grandioso crescendo ritmico e strumentale che, sfiorando noise e drone, si congela in un'atmosfera da incubo, gelida.
Le sfarzose linee strumentali dell'opener svaniscono lentamente con l'arrivo di 8:2 in cui la sezione ritmica comincia a prendere realmente forma e sostanza attraverso uno strambo gioco di piatti, affiancati da tastiere taglienti e dagli effetti elettronici coordinati dall'eclettico Deathprod. In 8:3, poi, la batteria di Vespestad esplode letteralmente: la totale anarchia ritmica del drummer norvegese è una terribile fonte di stordimento che disorienta grazie anche al supporto di penetranti synth e rumori elettronici: è follia, sperimentazione allo stato puro ma assolutamente mai fine a se stessa, radice di un affresco musicale delirante, irreale, inumano. Se poi 8:4 ci ipnotizza nei suoi quieti fraseggi a cavallo tra jazz ed elettronica (superba prova della tromba di Henriksen) tessendo melodie di una bellezza sopraffina, 8:5 porta il disco verso il suo apice in termini di raffinatezza e gusto stilistico: 12 minuti di sperimentazione continua, ma anche di emozione ed eleganza strumentale, una discesa nel rumore ma allo stesso tempo un'interminabile apnea dentro effimere atmosfere dal retrogusto psych/progressive, rese con una maestria al giorno d'oggi più unica che rara. Il sopravvento dell'elettronica giunge invece con la successiva 8:6, ritmicamente instabile e tagliente nei suoi suoni martellanti, mentre con 8:7 il caos viene fuori nella sua forma più completa (sembra che suoni un'orchestra intera ma sono solo in quattro): distorsioni graffianti, batteria impazzita, astrattismi ritmici, sintetizzatori e tastiere contorte e una tromba lamentuosa e dilaniante.
Un'angariante poesia del rumore che termina soltanto per lasciare spazio alle note conclusive di 8:8, termine silenzioso e tutt'altro che sfarzoso, privo di qualunque tipo di barocchismo, immediato nella sua abbagliante povertà sintattica.

Chi conosce già i Supersilent non rimarrà assolutamente deluso, perchè 8 è la conferma dell'immensità compositiva e sperimentale di questi quattro geni della musica scandinava. Diverso dai suoi precedenti fratelli, l'ultimo nato in questa culla silenziosa rappresenta un ulteriore passo in avanti, un altro grande esperimento che scavalca i limiti concettuali della musica, per abbatterli e posizionarli ancora più lontano di prima. Se i Supersilent continuano di questo passo, allora giungerà presto un 9 ad annichilire questi limiti una volta per tutte. Tutto ciò che il gruppo scandinavo non esprime con questa attitudine splendidamente nichilista da riscontare nella miseria dei titoli e delle copertine (tutte rigorosamente uguali, cambia solo il colore), viene invece tirato fuori dalla loro musica, da questo linguaggio improvvisato e incomprensibile da qualsiasi orecchio, anche dal più fine ed erudito. Inutile che proviate ad assorbire questa musica, molto più probabile che si verifichi il contrario

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