Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Genere: 
Etichetta: 
Trisol Music/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

:
- Sean Brennon – voce, chitarra, basso, tastiera, batteria, programming, produzione


Tracklist: 

:
1. The Beginning of the End
2. Feeling Fascist?
3. Nothing's Sacred
4. Heaven Now
5. America's a Fucking Disease
6. Complex Messiah
7. Republic
8. Fear – 4:18
9. Pure
10. The Kids Are All Wrong
11. Love You to Death
12. The Pain Looks Good on You
13. Nothing's Sacred (Extended Club Mix)
14. Nothing's Sacred (Edit Club Mix)
15. Nothing's Sacred (Original Demo)
16. America's a Fucking Disease (Clean Edit)

London After Midnight

Violent Acts Of Beauty

Oddieties, 1998, Violent Acts Of Beauty, 2007. Ormai quasi dieci anni sono passati dall’ultima produzione discografica dei London After Midnight, la band californiana che probabilmente passerà alla storia come il complesso artistico che pagò il più alto prezzo proprio a causa della propria precoce storicità. In definitiva se oggi la band del celebre Sean Brennon è carente nel tabellino dei dischi prodotti, è colpa forse di quel capolavoro glam/goth che fu Psycho Magnet, secondo lavoro risalente al lontano 1997, che entrò brutalmente negli annali del genere, consacrando i LAM a band di culto delle schiere oscure di mezzo mondo.
Oggi invece la situazione è un poco diversa: in campo, la band californiana incontra una concorrenza decisamente più ingombrante rispetto alla metà degli anni ’90 e di conseguenza si trova a inseguire mezzi espressivi più moderni, al passo con il sound contemporaneo. Sarà stato il travolgente successo del secondo full-lenght dei londinesi notturni, sarà stato il temuto blocco dello scrittore, sta di fatto che oggi i London After Midnight sono di nuovo in pista, tirati a lucido, cambiati, ma come sempre fortemente espressivi. Il taglio di sottile ironia e la critica spesso velata che caratterizzavano le loro vecchie composizioni sono oggi presenti in piccole quantità, ma accentuate (Feeling Fascist?; America’s a Fucking Disease). Le liriche sono a questo proposito decisamente più dirette, in un platter che si presenta come diretta denuncia del sistema americano e dell’ipocrisia di tutto un sistema di potere (i caratteri stile cirillico in copertina hanno un non so che di anti-americanismo socialista).

A fianco dunque delle forti tematiche politiche e di critica sociale rimane un’architettura musicale fresca e dinamica (Nothing’s Sacred, Fear) che passa ripetutamente da loop dancefloor, a patterns di chitarra massicci, molto concreti, che allontanano decisamente il groove dei LAM dalle tonalità sfumate e romantiche dei precedenti lavori – anche se a tratti ancora tangibili in Love You To Death e The Pain Looks Good On You -. Quello che si perde in eleganza e intrigo, viene recuperato però in ritmica – molto accentuata e frammentata – e qualità del suono. Il disco si presenta insomma ben strutturato, lungo (sedici tracce – di cui quattro bonus - come a ricompensa di un eccessivo silenzio) e molto ascoltabile ed episodi come The Kids Are All Wrong e Republic, vere immagini dell’album, si candidano sicuramente per affiancare i vecchi classici delle performance live.
Non rimangono infine che due postille: la prima è la stranezza di un album che migliora qualitativamente con i minuti, conservandosi i suoi pezzi migliori, quasi timoroso, per la fine, la seconda è il leggero rimpianto per quel fascino indecifrabile e quell’estetismo dei primi lavori, ora mancante, che accompagnò fin dall’inizio la band verso il successo. Guardando al presente però non si può che essere contenti del ritorno dei Sean Brennon e dei suoi colleghi live, fiduciosi nella nuova sessione di date europee imminenti, ma consapevoli del loro cambiamento di rotta.


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