- Steve Austin - Chitarra, Voce, Elettronica, Noise
- Marshall Kilpatrick - Batteria
- Chris Debari - Basso
X:
1. Maggots and Riots
2. Criminal
3. Distortion of Nature
4. Crooked
5. Butterflies
6. Unearthed
7. The Descent
8. Death Requiem
9. Christianized Magik
10. Voice of Reasion: Vicious Barker
11. Face After the Shot
12. The Ivory of Self Hate
13. The Nailing
14. Mistake
15. Invincible
16. Aurora
17. Sadness Will Prevail
Y:
1. Myriad Spaceship
2. Flowers
3. Made of Flesh
4. Your Life Is Over
5. Control the Media
6. Vivicide
7. Miasma
8. Times of Pain
9. Breadwinner
10. Friend
11. Never Answer the Phone
12. I Love to See You Smile
13. Sadness Will Prevail Theme
Sadness Will Prevail
Per dischi come Sadness Will Prevail o non si hanno parole, o se ne hanno troppe. La grande opera che Steve Austin ha prodotto nel 2002, disco unico ed inarrivabile nel suo genere, è un'odissea nel dolore e nell'inquietudine di cui l'artista di Nashville è il cantore: malsano poeta della società moderna, correlativo oggettivo del male di vivere fatto musica. Come se fosse un'invisibile microspia penetrata negli oscuri antri di ogni persona, Austin trae fuori dall'animo umano tutto ciò che qualunque essere vivente non vorrebbe mai nè vedere, nè sentire, nè odorare. La primordiale puzza dell'uomo, la sua psicologia contorta, la follia, il dolore, la più lacerante solitudine, i più sofferenti pensieri dei corpi che vagano sulla terra solo perchè senza una tomba dentro cui dimorare fino alla fine dei tempi. Quello dei Today Is the Day, una delle band più sottovalutate della storia, è una sorta di "Doomsday", il giorno del giudizio il cui cielo è oscurato dall'inquietudine e dal dolore. Ogni uomo, come la copertina ben suggerisce, è tristemente appoggiato al muro della propria spigolosa prigione con la testa rivolta verso un cielo che non si vede e che non lascia via di scampo a nessuno sguardo: questo è l’agghiacciante affresco che Austin ci rigetta in faccia dicendoci sotto voce, con tono rassegnato ma con un nascosto ghigno di follia: “la tristezza trionferà”. Con Sadness Will Prevail a prevalere non è soltanto la tristezza ma è quell’infinito insieme di stati d’animo e pensieri che bruciano il corpo dell’uomo e la sua anima: disperazione, desolazione, solitudine, mancanza di comunicazione e di umanità, scomparsa dei presupposti della vita, l’essere umano che compie il cammino verso l’estinzione, il tutto immerso nel più lacerante pessimismo della storia della musica e guai a fare collegamenti paralleli a pessimismi cosmici e dialettici, perché quello di cui le vene di Austin sono riempite è il pessimismo più amaro e delirante che l’uomo possa conoscere, una visione che annichilisce ogni bagliore e ogni forma espressiva che ad essa si opponga.
Ma ciò che veramente stupisce e lascia per terra senza fiato è l’incommensurabile capacità attraverso cui Austin rende musica tutti gli aspetti sopra elencati. E’ impressionante sentire come una chitarra distorta riesca a somigliare all’inquietudine e alla follia umana, e altrettanto sconvolgenti sono quei ritmi funerei e asfissianti che prendono le sembianze del tempo che passa inesorabile facendoci marcire ad ogni suo rintocco. Ogni nota, qualsiasi strumento, qualunque fonte di suono (o per meglio dire, rumore) è sapientemente predisposta in un disordinato mosaico che, una volta completato, deve innalzarsi e lasciar cadere ogni suo tassello sulle teste e gli animi delle persone. Rumore, disperazione, rumore, solitudine, rumore, follia, rumore, schizofrenia, rumore, distruzione. Sadness Will Prevail sono due ore e mezza di tutto questo diviso in due dischi (X e Y) che riassumono il concetto di base del disco: il primo, violento e cerebrale, malato e patologico, il secondo terrificante ma con quei toni quasi onirici che conferiscono all’album ulteriore follia e un approccio sempre più catastrofico e minimalista. Le ripetizioni compositive sono infatti alcune tra le caratteristiche principali del disco, aspetto che arricchisce e rende ancora più fitta la claustrofobica atmosfera in cui esso è immerso.
Maggots and Riots apre il disco X in pieno stile Today Is the Day con i suoi ritmi instabili e le sue sonorità spaccaorecchie: le agghiaccianti urla di Austin si collegano perfettamente all’asprezza delle chitarre e alla pesantezza di una batteria estremamente mobile e dinamica. Criminal e Distortion of Nature continuano a spingere il disco verso una direzione sempre più cupa e asfissiante con quelle scaricate di puro noise da macellare anche il più resistente apparato acustico e le possenti iniezioni death metal che rinforzano ulteriormente una struttura strumentale già indistruttibile di suo. Tra refrain thrash, una furia in tipico Florida Style e funeree avanzate noise Sadness Will Prevail prosegue infermabile il suo apocalittico cammino di amarezza esistenziale e di puro terrore; Austin riesce infatti a trasmettere dosi di paura e panico senza precedenti, la sua musica è di un impatto devastante e per questo non fatica a penetrare in maniera contorta nelle anime degli ascoltatori, lasciandoli atterriti, sconvolti, morti dentro. Nessuna reazione, che sia l’headbanging o il gesticolare con le mani, può venir fuori durante l’ascolto, l’unico movimento permesso è quello dell’anima che si nasconde e si attorciglia dopo essere stata trafitta da questo sanguinante filo spinato. Il massacro prosegue con Crooked, Unearthed e The Descent e con il loro riffing serrato e claustrofobico, fino ad arrivare al capolavoro Death Requiem, una sorta di agghiacciante ballata dominata da un pianoforte grezzo e pesante avvolto dalla solita atmosfera oscura e tombale. Quasi sullo stesso stile l’altra perla Voice of the Reason: Vicious Barker, una perfetta commistione di chitarre acustiche, pianoforti ed elettronica, che precede la prog oriented Face After the Shot, caratterizzata da tempi dispari e quasi impossibili da cogliere, meno asfissiante delle sue sorelle ma estremamente penetrante nei suoi contenuti. L’omonima Sadness Will Prevail (ultimo brano del disco X) è poi una testimonianza gelida e schizofrenica di questo mondo malato: prima il solito ensamble chitarra, basso, voce, batteria compone strutture devastanti, dopodichè il compito di sconvolgere l’ascoltatore viene lasciato ai quattro minuti finali in cui le uniche cose che si distinguono sono gelide e patologiche urla umane che si sovrappongono in maniera terrorizzante: il doloroso strazio che questo brano suggerisce non ha precedenti, un esempio di psicologica follia e di angariante solitudine esistenziale, in poche parole, l’esoscheletro di Sadness Will Prevail.
Al passagio da X a Y tutto viene azzerato e riproposto dopo essere stato ristrutturato in maniera ancora più complessa. Naturalmente la massacrante unione di noise, death, industrial ed elettronica non svanisce, ma viene come avvolta in aloni onirici e surrealisti, diventando ancora più irrazionale e inumana.
Y è infatti il completamento del quadro esistenziale creato da Austin, l’ultimo ritratto di questo mondo in rovina e dell’uomo che paradossalmente vi vive dentro. Myriad Spaceship, che apre il disco secondo, è infatti l’inquietudine interiore fatta musica, così straziante nelle sue cavalcate death e nel suo eterno rumore che non lascia assolutamente alcuna via di scampo: tutto viene ridotto ad un labirinto, o meglio ad una nebbia interminabile che annichilisce una volta per tutte ogni forma di rapporto e di comunicazione. Anche in questa seconda parte di Sadness Will Prevail le perle si susseguono una dopo l’altra: Made of Flesh è un inno totale al dolore, Your Life Is Over (che riprende le strutture di Face After the Shot) nella sua quiete sembra finalmente apparire come una melodiosa apertura del cielo, ma tutto si trasforma in una mera illusione quando fanno ingresso le note della superba Control the Media, lenta e cadenzata, oscura e soffocante, un ipnosi di violenza rumoristica.
Dopodichè le illusioni che si prendono gioco dell’ascoltatore ritornano sul palco: le stupende Vivicide, Miasma e Friend sono infatti tante quieti dopo la tempesta, ma per Austin di tempeste ce ne sono sempre altre, ancora più forti di prima, ancora più violente nelle loro acide pioggie di disperazione. Sono infatti Times of Pain e Breadwinner a rimettere in scena la sofferenza di questo mondo desolato lasciando la strada spianata per l’arrivo del meraviglioso colosso Never Answer the Phone, mastodontico brano di ventitrè minuti che nella sua interminabile durata raccoglie al meglio ciò che era stato seminato in precedenza: atmosfere che dall’onirico e l’ipnotico passano al dolore e allo strazio, riff pacati e trattenuti che esplodono con la violenza di un vulcano in eruzione, ritmi lenti che si inferociscono e uccidono qualunque forma di vita essi si ritrovino davanti.
Ma questa straziante marcia funebre si sta avvvicinando verso la sua fine, è infatti I Live to See You Smile l’ultimo tassello prima dell’arrivo della conclusiva Sadness Will Prevail Theme, l’apocalittica chiusura di questa macabra danza all’interno della disperazione e della solitudine. Malinconici violini annunciano una lieve pioggia di triste desolazione: oramai non è rimasto più nulla nelle strade del mondo se non la tristezza incarnata da queste drammatiche note. Dopodichè giunge il silenzio, nessun suono che possa sconvolgere questa vuota atmosfera fino a che, lentamente, giunge il Rumore della Fine, l’epilogo di questo funerale a cui nessuno partecipa perché chiunque ne è protagonista. L’aria umida e desolata è spezzata da questi taglienti suoni elettronici e per le strade niente ha più la possibilità di muoversi. Ma questo non è il mondo, non è il vero il mondo in cui l’uomo vive: questo è l’uomo stesso, è il suo stesso funerale, e tutta la distruzione di cui abbiamo parlato fino adesso non tangerà le piazze, le case e i negozi delle città, ma causerà un irrimediabile terremoto all’interno dell’anima di tutti. Per questo rimarrà solamente la disperazione dentro ognuno di noi, vi sarà solamente una pioggia che mai si fermerà al nostro interno, mentre fuori il sole ancora splenderà, inutilmente, perché ogni uomo ha capito che a trionfare è la disperazione.