- Lars Vognstrup - voce
- Lars Christensen - chitarra
- Jesper Andreas Tilsted - chitarra, tastiera
- Jesper Kvist - basso
- Morten Toft Hansen - batteria
- Jeppe Christensen - tastiere
1. Twelve Feet Tall
2. Bleeding
3. Drive
4. Tonight
5. Leech
6. My Game
7. Crack of Dawn
8. Out of Sight
9. This Is Not an Exit
10. Never Be (Nuclear Blast Edition)
Velvet Noise
In campo metal (ma non solo) la Scandinavia è sempre stata un grosso e prolifico calderone musicale dove le più svariate correnti musicali si sono amalgamate e intrecciate, influenzando e lasciandosi influenzare, dando origine ad un boom di gruppi e di seguito senza precedenti (con molta soddisfazione delle label, visto che il metal svedese si è rivelato una vera e propria gallina dalle uova d’oro). Tuttavia, nella vicina Danimarca, forse non appartenente alla penisola scandinava ma che ne condivide la stessa cultura, non si è fatto un gran chiasso nel periodo fra la fine degli anni '90 e l'inizio dei 2000. I Raunchy avrebbero dovuto invertire questa tendenza, assieme ai compatrioti Mnemic; le prime due bands danesi a firmare per la famosa Nuclear Blast avevano certamente un potenziale musicale e di seguito (vista la loro proposta moderna e d’impatto) alto, e potevano sfruttare anche l’inerzia del già citato successo scandinavo (ragionamento delle label del tipo: i gruppi norvegesi e svedesi hanno dato vita ad un seguito enorme, se ora supportiamo tal band e tal’altra del paese vicino possiamo sfruttare il feeling per “ciò che è nordico” per lanciare anche la moda danese). Ma non ebbero un successo equivalente, forse perché giunti troppo tardi, con il boom svedese già avviato da tempo e quando il mercato iniziava ormai a saturarsi di nuovi complessi (finendo così un po’ all’ombra delle bands d’oltre canale). Eppure le loro sonorità, moderne e con molti richiami al metal made in U.S.A. combinato con quello del vecchio continente, lanciano diversi buoni spunti: tale è infatti la proposta dei Raunchy, e peccato perché il risultato si lascia ascoltare volentieri.
Se dovessimo dare retta alle varie frasi promozionali per pubblicizzare i gruppi, i Raunchy fanno “futuristic hybrid-cyber metal”, termine che almeno per chi l’ha coniato suona figo ma che (giustamente) può fare abbastanza ribrezzo a noi. "Parafrasando" il termine si può notare che vi è una componente industrial metal nel loro stile (che per qualche arcana ragione viene spesso ribattezzato come cyber o futuristic o technospaceconpallevarie metal, con grande divertimento dei fan e orrore dell’ascoltatore alle prime armi che deve districarsi fra questi aggettivi surrogati e l’uno semiclone dell’altro), ma si può intuire che vi siano altre influenze nei Raunchy. Come già accennato, la formazione dello Jylland è di estrazione prevalentemente americana. Il primo gruppo che potrebbe venire in mente ad ascoltarli sono i Fear Factory con il loro binomio fra thrash e industrial, ma i Raunchy sono meno raggelanti e più diretti verso l'intensità del resto del groove metal e post-thrash. Magari con una spruzzatina di SYL qua, un velo leggero di nu metal americano (Korn e Coal Chamber, ma anche spolverate delle varianti più pestate) lì; ma ci sono anche diversi sguardi al metal moderno svedese (Darkane, Pain in primis e qualcosina alla lontana di Hypocrisy) ed europeo (alcuni vaghi richiami agli Apartment 26 più aggressivi), ed un piccolo abbozzo nascosto fra melodeath e metalcore/Swedecore. L’album d’esordio, Velvet Noise, originariamente rilasciato dalla Mighty Music nel 2001 (che l'ha ristampato anche nel 2007) e poi riproposto l'anno seguente dalla Nuclear Blast, è sicuramente un’uscita di metal alternativo fortemente d’impatto e orecchiabile, la cui tecnica sonora è ricca di intensità e aggressività. Come un rumore vellutato, l’LP è dominato da chitarre taglienti e micidiali, al contempo però capaci di suggestionare con la propria naturalezza nell’edificare impianti melodici molto catchy, terreno in cui i Raunchy si trovano a proprio agio e che percorrono in tutta scorrevolezza. A supporto di questo vi è un impianto ritmico serrato che travolge tutto, ma non perde mai il controllo, saldo e imponente. Effetti vocali ed elettronici completano il tutto.
L’opening Twelve Feet Tall presenta immediatamente le coordinate generali dell'album: una sfuriata iniziale martellante, un riff altamente catchy, bridge meccanici ed un chorus pulito altamente melodico non danno attimo di respiro, la canzone scorre intensamente e freneticamente, davvero un ottimo inizio per il disco. Bleeding è più acida ma sempre carica di melodia: industrial metal e groove metal si miscelano con naturalezza, e a parte una leggera ripetitività finale i Raunchy dimostrano ampiamente di aver trovato delle coordinate personali su cui costruire il proprio sound, bisognerebbe però rifinire di più gli arrangiamenti dei brani ma per un esordio si può dire che i risultati sono davvero positivi. Drive viene introdotta con un riff tagliente, impiantato su di una struttura spedita e intensa. Ancora una volta i chorus sono molto melodici, in apparente contrasto (in realtà in un rapporto assolutamente complementare) con il resto della canzone ben più rocciosa e con canto urlato e non pulito, a ricordarci l'influenza dei Fear Factory. Il riff iniziale di Tonight è più marcatamente korniano, così come il resto del brano richiama ancora più fortemente i Fear Factory. Leech è forse il pezzo più intenso e vissuto di tutti, una forza sprigionante melodia con un'energia unica, dando un tocco maggiormente atmosferico alla canzone e riprendendo qualche riff Swedish metal-oriented. My Game si riallaccia all'ibrido nu/industrial metal, velocizzato ed estremizzato dall'ottica dei Raunchy. Permangono alcuni vaghi spunti "svedeseggianti", ma ad attirare maggiormente sono i riusciti giochi di melodia che adottano soluzioni semplici, anche scontate (come il carillon a metà brano) ma ben escogitate e inserite. Crack of Dawn all'inizio sembra avere un approccio più favorevole all'atmosfera ricreata dall'interazione degli strumenti convenzionali, ma vi si aggiungono riff fra groove ed industrial cupi, squadrati, e il consueto ritornello orecchiabile che uniti sviluppano la canzone sui binari consolidati del full-lenght. Out of Sight li mantiene tranquillamente, e se si eccettua un banale ma piacevole intermezzo di tastiera non aggiunge nulla a quanto già detto; così procede anche This Is Not an Exit, in definitiva un ulteriore buon pezzo che rimane sul sentiero già percorso offrendo un'altra buona dose di melodia ed impatto. Il titolo è profetico: arrivati ad un certo punto sembra che l'album sia finito, in realtà la traccia è ancora in esecuzione, semplicemente c'è un minutino di silenzio seguito da una ghost track (a dire il vero trascurabile). L'album originariamente si concludeva così, ma nella versione 2002 della Nuclear Blast venne aggiunta una bonus track, l'ottima Never Be, meno violenta di tutte le altre, ancora più melodica, con qualcosina che ricorda (tutto con le dovute proporzioni del caso) gli Evanescence di Lies, in parte i Pain, in parte una spruzzatina di Helmet, il tutto sempre filtrato con lo stile dei Raunchy.
La melodia e la potenza si combinano quindi per costituire l’anima del full-lenght, per catturare e trascinare in un ascolto da fare tutto d’un fiato, finché il muro sonoro riempie le facoltà auditive. Lo stile è trascinante, ma non manca di affascinare con le atmosfere infuocate generate dalle chitarre distorte. Il mix, pur non essendo del tutto originalissimo, si mostra oltremodo proiettato verso la definitiva personalizzazione, e i richiami ad altri gruppi i Raunchy lo fanno con buon gusto, grande classe e molta carica. Naturalmente non è esente da alcuni difetti: in alcuni punti appare leggermente ripetitivo, e i chorus clean dopo un po' iniziano a diventare scontati, per fortuna in maniera non consiste. Rimane in ogni caso un debutto orecchiabile con buone speranze per il futuro - è sconsigliato però ai più tradizionalisti e ai puristi del thrash, che probabilmente lo schiferanno in toto.