- Conor Oberst - voce, chitarra, piano, organi
- Matt Maggin - basso
- Joe Knapp - batteria, percussioni
- Jiha Lee - voce, flauto
- Clint Schnase - batteria
- Kevin Barnes - tastiere
- Mike Mogis - chitarra, piano, tastiere
1. A Spindle, a Darkness, a Fever, and a Necklace (06:28)
2. A Scale, a Mirror and Those Indifferent Clocks (02:44)
3. The Calendar Hung Itself... (03:55)
4. Something Vague (03:33)
5. The Movement of a Hand (04:02)
6. Arienette (03:45)
7. When the Curious Girl Realizes She Is Under Glass (02:40)
8. Haligh, Haligh, a lie, Haligh (04:43)
9. The Center of the World (04:43)
10. Sunrise, Sunset (04:32)
11. An Attempt to Tip the Scales (08:29)
12. Song to Pass the Time (05:30)
Fevers and Mirrors
Conor Oberst è allo specchio. Uno specchio che non riflette immagini, ma stati d'animo: passione, angoscia, dolore di cuori spezzati. Senso di vuoto e di malessere esistenziale di un'anima di vent'anni, quale è il ragazzino che imbraccia la sua chitarra per comporre Fevers and Mirrors.
E' l'immagine del capolavoro. Il vero capolavoro firmato Bright Eyes, progetto nato tra amici, ragazzini di Omaha già in grado di stupire due anni prima con Letting Off the Happiness. Un disco intenso, colmo di pieghe da scrutare con estrema attenzione, capace di lasciare attoniti, di trascinare la mente lungo un percorso ad ostacoli, fatto di corse, cadute, risalite, discese a folle velocità.
E' tutto questo, il mondo di Bright Eyes. La voce calda, talvolta straziante di Oberst ne rappresenta il marchio più caratteristico. Fevers and Mirrors è un libro di racconti, per cuori rotti a metà, per lacrime che scendono a rigoli sul viso giovane che può essere quello di Oberst, ma che rappresenta il viso di ogni uomo che ad un certo punto della vita vede crollare un pezzo di un castello costruito a fatica.
Il brivido dell'iniziale A Spindle, a Darkness, a Fever, and a Necklace rimane conficcato tra le membra. E' il primo acuto, seppur nella veste delicata e malinconica della voce di Oberst accompagnata dall'acustica. Ma in Fevers and Mirrors si cammina così, a passi decisi, tra le scorbutiche visioni della mente dei Bright Eyes, con l'incedere tentennante di A Scale, a Mirror and Those Indifferent Clocks, tra le note nervose di The Calendar Hung Itself, fino all'accecante bellezza di Someghing Vague. L'essenza di questo disco è qui. Appare compiuta nelle note o negli accordi legati alla perfezione tra chitarre, percussioni, organi e fiati; nell'attimo immediatamente successivo scompare, lasciando la scena ad un vuoto che sembra travolgere e spingere a terra.
Oberst gioca con le note, accennando ad acuti fuori portata, senza badare alla forma, quanto all'essenza. Arriva a stuprare le corde della sua voce tremante, regalando momenti di inaspettata bellezza nell'incedere talvolta ossessivo degli arrangiamenti (in Sunrise, Sunset, ad esempio).
At the center of the world / There is a statue of a girl / She is standing near a well / With a bucket bare and dry, sussurra Mr Bright Eyes in The Center of the World, tra gli episodi più compiuti di questo full-length. Come nella veloce Haligh, Haligh, a lie, Haligh, che troviamo nel bel mezzo del cammino.
Potremmo parlare per ore di qualsiasi sfaccettatura di questo lavoro, che volge al termine con intensità, stile, eleganza e dolcezza mista ad un senso di nostalgia e di rimpianto. Quasi che il sole prenda posto, timido ed assonnato, in un cielo infreddolito di metà novembre. Mentre la nebbia gioca ad accarezzare ciò che trova sulla sua via. An Attempt to Tip the Scales è la congiunzione all'incipit di Fevers and Mirrors, prima delle note di chitarra acustica in Song to Pass the Time, accompagnate dal tintinnio stonato di rumori sullo sfondo.
E' l'immagine sorridente di un Bright Eyes seduto sul letto nella stanza della sua infanzia. Sul letto dei primi sogni, nella stanza di un'adolescenza infinita, ancora nel suo lento incedere. Con un Oberst ora maturo, ma nostalgico di un'ingenuità infantile che forse gioverebbe per non pensare a tante sofferenze.
L'emozione delle ultime note di Fevers and Mirrors rafforzano l'idea di trovarci di fronte ad un capolavoro. Per un attimo, da quello specchio fuoriesce un fascio di luce, abbaglainte.
Un momento di genio, che il menestrello di Omaha ha saputo disegnare con semplicità, raccontando la sua storia tra le calde pareti della sua vita che, in fondo, è quella di ognuno di noi.