- Tony Wakeford - Chitarra, Basso, Voce, Tastiere, Loops, Mixing
- Guy Harries - Flauto
- Renée Rosen - Violino
- Andrew King - Voce
- Kris Force - Voce
- Caroline Jago - Basso in “Down the Road Slowly”
1. The Woods (0:18)
2. A Saint In Roseland (4:34)
3. Lightning Strikes (4:03)
4. In The Woods (3:33)
5. Into The Woods (5:50)
6. A Small Town In Germany (4:01)
7. Down The Road Slowly (5:35)
8. The London Hanged (1:55)
9. The Hangman's Son (3:54)
10. Take The Steps (3:18)
11. The Devil Went A Travelling (3:54)
12. If You Go Down To The... (2:13)
Into the Woods
Tony ce l’aveva anticipato l’anno scorso, nell’intervista che ci concesse, che “Into the Woods”, il suo nuovo lavoro solista, avrebbe lasciato di sasso i suoi ascoltatori, grazie a inflessioni Progressive e a richiami datati che avrebbero potuto risultare inusuali. Ebbene, tutto si potrà dire del leader dei Sol Invictus, tranne che non sia stato di parola: “Into the Woods” mostra un Tony alle prese con sonorità ben distanti rispetto a quanto mostrato con la sua band principale negli anni recenti, sia nell’elegantissimo (e a tratti perfino jazzy) “Thrones” (2002) che nel fortunato Folk Noir di “The Devil’s Steed” (2005), e risulta spiazzante anche se confrontato con le precedenti esperienze soliste di Tony, iniziate nel lontano 1993 con “La Croix”.
“Into the Woods” viaggia su binari mediamente sperimentali, essendo un disco che prova a coniugare alcuni classici leit-motifs del Wakeford-sound con trovate più particolari e avventurose (talvolta magari già accennate ad inizio carriera), tra cui appunto il tanto sbandierato feeling Prog di alcune ballate acustiche. A fare da padrone, comunque, sono di gran lunga i loop digitali e i conturbanti soundscapes di tastiera, utilizzati per annacquare e diluire un suono alquanto amorfo costituito di poco convinte chitarre acustiche (di scarsa importanza nell’economia del platter), di sparsi sonagli e percussioni da ebbrezza Psych-Folk, e di interventi più vicini alla prassi Neo-Folk da parte di educati violini e flauti: soluzioni che riescono ad eccellere solo in rare occasioni, ovvero quando quest’amalgama si avvale di melodie di caratura superiore (“The Devil Went a-Travellin”, una delle poche a mostrare una certa, apocalittica intensità) oppure quando ci si allontana dalla strada principale per seguire intuizioni particolari, come accade nella quasi omonima coppia in quarta e quinta posizione – “In the Woods” si fa amare per come sfiora la calma New Age grazie al suo diluito flauto, agli arpeggi liquidi e ai dolci vocalizzi femminei, mentre “Into the Woods”, più articolata, è una ballata sepolcrale che (seppur tirata per le lunghe) tiene viva l’attenzione grazie a ritmiche indovinate e a un certo flavour di Prog orientaleggiante che affiora nelle parti strumentali.
Assai particolare è l’uso della voce, spesso filtrata elettronicamente e riverberata ad libitum con risultati però piuttosto deprecabili, tanto che le sezioni strumentali risultano sovente essere le più apprezzabili del lavoro: “Into the Woods” è forse il disco recente di Tony che meno convince sotto l’aspetto prettamente vocale – i più clamorosi esempi sono “The Hangman’s Son” e la orrendamente artificiale “A Saint in Roseland” (in cui Tony non indovina nemmeno mezza intuizione), rovinate da echi eccessivi e confusionari, con coltri di loop e synth che non riescono a celare la sostanziale mancanza di un’idea valida di fondo che sostenga il brano stesso. Quando poi la voce viene privata di aloni e risonanze (come nella pur buona “Take the Steps”), essa si rivela in tutta la sua mediocrità tecnica: ma se in passato si cantava spesso su melodie vincenti, e le interpretazioni (sicuramente sentite ed espressive) di Tony risultavano piacevoli, qui finiscono per cadere nell’anonimato, poiché supportate da idee melodiche prive della necessaria qualità.
E se si vede un Tony che fatica anche quando cerca di tornare a contatto con la tradizione Folk inglese, solitamente suo punto di forza, (“Down the Road Slowly” finisce per essere irritante poiché troppo ripetitiva, errore in cui fortunatamente non cade la più breve e maggiormente focalizzata “The London Hanged”), allora c’è veramente qualcosa che non quadra: “Into the Woods” non è un disco da buttare, ma risulta un esperimento riuscito solo a metà, pregno di tanti errori ma anche di trovate che potrebbero ulteriormente rivitalizzare Tony, se debitamente sviluppate e rifinite con maggiore destrezza.
“Into the Woods” rsulta pertanto consigliato solo ed esclusivamente allo ‘zoccolo duro’ di fans di Wakeford, che in questo episodio non particolarmente luminoso potranno comunque trovare alcuni apprezzabili spunti d’interesse – anche in futura chiave Sol Invictus: chissà che alcune delle soluzioni qui adottate non possano andare a intaccare/ampliare anche il suono della band principale...