Voto: 
8.7 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
Mescal
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Manuel Agnelli  - voce, chitarre , slide,  percussioni, cd player, nastri, organo, pianoforte, bontempi
- Xabier Iriondo - chitarre, rumori, microsinth, delay machine, tremolo, 501 space echo, electric mistress, enomalakito, bontempi
- Giorgio Prette - batteria


Tracklist: 


1. Hai Paura Del Buio?
2. 1.9.9.6.
3. Male di Miele
4. Rapace
5. Elymania
6. Pelle
7. Dea
8. Senza Finestra
9. Simbiosi
10. Voglio una Pelle Splendida
11. Terrorswing
12. Lasciami Leccare l’Adrenalina
13. Punto G
14. Veleno
15. Come Vorrei
16. Questo Pazzo Pazzo Mondo di Tasse
17. Musicista Contabile
18. Sui Giovani d’Oggi ci Scatarro su
19. Mi Trovo Nuovo

Afterhours

Hai Paura Del Buio?

Risulta triste e rassegnato il ritrovarsi oggi, molti anni dopo la sua pubblicazione, a parlare di un album come questo. Risulta forse anche un po’ amaro e pessimistico il pensare che Hai Paura Del Buio? permise più di ogni altro album rock tricolore la rara concessione alla nostra realtà musicale di flirtare con i grandi demoni americani, di bussare timidamente anche solo per una volta alle porte dell’olimpo di quell’alternative rock a stelle e strisce che abbagliava i nostri occhi miopi di ingenui provinciali d’oltreoceano. Risulta amaro e pessimistico perché se un album come questo non è riuscito a cambiare le carte in tavola del panorama rock italiano, il futuro si preannuncia ancora più oscuro e sterile di quanto non siano stati questi anni di festival musicali estivi trasmessi in prima serata e aiutati da un malcelato playback.
Gli Afterhours riuscirono con questo album a catturare ed addomesticare tutto ciò che manca oggi alle giovani band della penisola, gonfiate e rese deformi dai celebri e non proprio metaforici steroidi ed anabolizzanti concepiti da sua santità Mtv e dispensati dalle sorelle Majors, così da curare ed indirizzare la crescita musicale dei propri amati beniamini. Energia, Candore, Rifiuto, Ironia, Rabbia, Urgenza ed una dosata ma amabile Arroganza furono gli ingredienti che consacrarono questo disco come una gemma dalla lucentezza assoluta e difficilmente imitabile, come un tornado liberatorio che dissotterra sensazioni devastate dal furore giovanile degli anni ’90.

Non a caso è una bestemmia ad aprire liricamente l’opera con 1.9.9.6., dove la voce storpiata del leader conduce una ballata alterata e maligna che deride la società italiana ed in particolar modo la realtà milanese, quasi augurandone la caduta della caratteristica facciata perbenista ed ipocrita presente ancora oggi. Rapidamente la successiva cavalcata Male Di Miele rade al suolo i pregiudizi rimasti sulla band, sfoderando una lucidità melodica ed una coerenza imbarazzante con le radici dell’alternative rock moderno, regalandoci un pezzo di esemplare spessore e personalità. L’elettricità adrenalinica che pervade le strofe, l’ironia sostenuta del bridge e la ferocia del ritornello creano un mostro capace di far impallidire il rock insipido e televisivo proposto ai giorni nostri. Le successive Rapace ed Elymania si presentano nuovamente vestite della stessa, granitica forza d’impatto: una scelta delle parole assolutamente acuta e mai banale ci regala testi abrasivi e disturbanti, lacerati dal disagio e scottati da sogni pornografici e distorti, tra i quali le chitarre elettriche versano come collante le loro poderose distorsioni e le loro melodie solide ed inguaribilmente accattivanti.
Si susseguono episodi più riflessivi e “classici” per il rock italiano come la torbida Pelle, semi-ballata dilatata da feedback e voci catramose che piacevolmente mostra una nuova e più profonda dimensione del gruppo, o la incantevole Voglio Una Pelle Splendida, manifesto della superficialità e della paura di scomparire ed essere dimenticati, dell’egoismo intrinseco delle persone “per bene” la cui unica volontà è allontanare da sé il dolore, il disagio, il malessere che si nasconde al di là della soglia di casa. L’arpeggio di chitarra spropositatamente radiofonico che veste l’intero brano viene per alcuni attimi sovrastato da un scarica di distorsione monolitica per poi ritornare ad adagiarsi nella sua cremosa melodia intrecciata che rende indimenticabile questa ennesima perla della band milanese. Traccia che si riscoprirà incontrollabile ed esplosiva durante i live è Lasciami Leccare L’Adrenalina, una fugace mitragliata post punk che esplode liberando un desiderio di movimento selvaggio ed incontrollato, scivolando sui rasoi affilati dalla chitarra e dalle parole provocanti del cantante.
Nel bel mezzo di tutto questo vi sono strane ed oblique sperimentazioni che annaspano nel delirio generale, brani come Senza Finestra, carica d’angoscia e tremolii spettrali galleggianti su di una scarna chitarra acustica, o Simbiosi, arricchita da dialoghi registrati ed utilizzati come sfondo musicale per una ballata desertica e desolante. Ma non è ancora finita.
Ennesima, fondamentale caratteristica degli Afterhours, è sicuramente l’ironia che, anche se rivolta a se stessi, inacidisce ulteriormente frustate punk rock come Dea o la celebre Sui Giovani D’Oggi Ci Scatarro Su, nella quale viene letteralmente distrutta a parole un intera fetta generazionale, quella del “sabato in barca a vela, lunedì al Leoncavallo” , colpendo al cuore l’ostentata borghesia giovanile che venera la facciata innocua e superficiale dell’underground.
Infine brani come Questo Pazzo Pazzo Mondo Di Tasse e Musicista Contabile si fanno interpreti delle difficoltà soprattutto economiche che attanagliano le giovani band e non solo, affiancando il loro caratteristico cinismo a leggere ma velenose composizioni di pianoforte dal grande contrasto stilistico, tali Mi Trovo Nuovo e Come Vorrei.

Considerate nell’insieme, tutte queste labirintiche varianti e trovate melodiche triturate ed interpretate dalla voce rapace e camaleontica di Manuel Agnelli, dalla chitarra barocca e noise di Xabier Iriondo e dalla batteria semplice ma sicura di Giorgio Prette, fotografano fedelmente una band dalle potenzialità enormi, dotata di invidiabile carica emotiva e carismatica presenza scenica, ma soprattutto capace di decifrare ed interpretare in modo intimo e crudo la propria generazione.
Queste caratteristiche le valsero l’attenzione di un’etichetta come la Geffen, con la quale i nostri decisero però di non avere nulla a che fare, credendo (forse giustamente) di entrare in un sistema troppo grande, nel quale avrebbero perso la propria identità musicale e la propria integrità di band.
Tuttavia, benché la loro abilità e personalità nel manipolare melodie avrebbe garantito un successo quasi sicuro anche a livello internazionale, questo straordinario disco in cui convergono Nirvana, Pixies, Sonic Youth, e drogati episodi cantautorali venne brutalmente circoscritto e sepolto un po’ dagli stessi autori, anche per colpa di scelte promozionali suicide (vedi i video dei singoli, intrasmettibili nel giro che conta), un po’ dal ricambio di gruppi e di suoni che proprio in quegli anni stava smantellando i residui della X-Generation, della quale Hai Paura Del Buio? si rendeva inevitabile e principale portavoce a livello puramente nostrano.

Manuel Agnelli raccontava nelle interviste del tempo di aver registrato tutte le 19 tracce dell’album riempiendosi di debiti senza nemmeno avere un contratto discografico, in un periodo in cui il gruppo era praticamente finito e crollato su sé stesso per vari motivi, e questo disco voleva rappresentare una sorta di suo personale congedo dalla carriera di musicista, un ultimo pungente, sarcastico saluto.
Ma da qui tutto ripartì, ancora più veloce e devastante di prima.
Perché dietro i manifesti pubblicitari d’alta moda, dietro i servizi inutili dei telegiornali, al di là dei sorrisi perbenisti, degli aperitivi in centro, dei falsi miti e dell’indifferenza e delle paure morbose della gente comune, striscia una realtà maligna ed eterna che tutti fingono di non vedere, ma che gli Afterhours hanno saputo, con questo disco, portare finalmente a galla e mostrare ad una massa di adolescenti e giovani adulti quanta spazzatura si nasconda sotto la morale ipocrita imposta dalla società.

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