- Tibet 93 (David Tibet) – Voce
- Douglas P. – Chitarra, Batteria, Voce in “Angel”
- John Balance – Chitarra Stick, Seconda Voce in “The Final Church”
- Rose McDowall – Chitarra, Cori, Voce in “(Hey Ho) The Noddy (Oh)” e “Black Flowers Please”
- Boyd Rice – Recitazione
- Steven Stapleton – Harmonium, Violoncello
- Hilmar Örn Hilmarsson – Arpa
- Ian Read – Voce in “Benediction” and “Valediction”
- Freya Aswynn – Voce in “Blessing”, “North”, “(Hey Ho) The Noddy (Oh)” e “Panzer Rune”
- Gary Carey – Tastiere in “Since Yesterday”
1. Benediction (1:59)
2. Blessing (1:48)
3. North (0:40)
4. Black Sun Bloody Moon (0:54)
5. Oh Coal Black Smith (5:28)
6. Panzer Rune (5:45)
7. Black Flowers Please (3:52)
8. The Final Church (5:13)
9. The Summer Of Love (1:53)
10. (Hey Ho) The Noddy (Oh) (1:42)
11. Beausoleil (8:33)
12. Scarlet Woman (0:59)
13. The Stair Song (0:26)
14. Angel (1:29)
15. Since Yesterday (4:03)
16. Valediction (1:00)
17. Malediction (2:06)
NOTA
Il disco, dal 1988 in poi, è stato ristampato come “Swastikas for Goddy” per motivi di copyright relativi al marchio Noddy. Tracklist e contenuti musicali sono tuttavia identici a quelli dell’originale.
Swastikas for Noddy
Emblema del declino o pietra miliare di un genere nascente? “Swastikas for Noddy” è un disco pieno di grandi contraddizioni, nonché uno dei più significativi dell’intero, sterminato catalogo dei Current 93, poiché vero e proprio simbolo delle trasformazioni in atto, tra il 1987 e il 1989, nel collettivo musicale inglese: in questo periodo David Tibet utilizza la sua profonda conoscenza della musica degli anni ’60 per integrare, in maniera sempre più completa, le influenze Folk nel DNA dei Current 93, attuando con dischi come “Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow”, “Earth Covers Earth” o “1888” degli esperimenti che si cristallizzeranno, infine, nella perfezione nel capolavoro “Thunder Perfect Mind” (1992).
E’ “Swastikas for Noddy” però, a rappresentare il momento in cui Tibet sferra un netto colpo al timone della propria barca, trascinando verso la nascita del Folk apocalittico tutta la colorita ed istrionica ciurma che lo fiancheggia attivamente, un melting pot incredibile ed irripetibile di menti creative e provocatrici, che raccoglie la crema della scena sperimentale inglese dell’epoca, con membri provenienti da Death in June, NON, Coil, Nurse With Wound, Strawberry Switchblade, Sol Invictus: ognuno porta con sé una porzione delle proprie idee, e il tutto è frullato assieme sotto la direzione artistica di Tibet – quello che ne viene fuori non è assolutamente omogeneo né coeso, e la sua bontà viene grandemente ridimensionata se confrontata con i lavori contemporanei di Douglas Pearce o quelli futuri di Tibet o Wakeford; premesso ciò, bisogna comunque precisare come “Swastikas for Noddy” sia straordinariamente variopinto, sincero, dotato di una creatività ‘nuda’, infantile ed ingenua che riesce a sorprendere; è un esperimento fatto a cuor leggero, seguendo l’ispirazione del momento, senza troppo badare ai dettagli e all’organicità – così come il titolo (il pupazzetto Noddy, sognato su una croce) fa un unico guazzabuglio di sacro (religione o provocazione?) e profano (l’innocenza dei personaggi delle favole per bambini), così la musica mescola ritmi da ninna nanna con percussioni paramilitari, alterna stucchevoli filastrocche a tetri rituali runici, intercala Folk-ballads con sprazzi Industrial, affianca sermoni recitati singolarmente a stranianti costruzioni corali. Molti disprezzarono l’abbandono dei panorami horror Ambient/Industrial dei primi dischi, bollando come banali semplificazioni prive di valore sia “Swastikas for Noddy” che i dischi successivi: in realtà ci troviamo di fronte ad una delle prime incarnazioni del Neofolk, con la chitarra acustica ad inserirsi prepotentemente come principale fondamento di ballate maledette.
Difficile dare organicità a simili connotati musicali, ed infatti molti dei brani sono semplici tasselli dalla durata inferiore ai due minuti, a volte con accompagnamento strumentale (l’apprezzabile inno odinista “North”) a volte esclusivamente vocali (“Blessing”, opera della runologa Freya Aswynn); si tratta di pseudo-invocazioni sacrali (Ian Read dei Fire & Ice apre e chiude il disco con “Benediction” e “Malediction”) o pagane (“Valediction” consta nella ripetizione dei nomi di varie rune), oppure di canzoncine per bimbi (“(Hey Ho) The Noddy (Oh)” è scioccamente piacevole, a differenza delle sinceramente inutili “The Scarlet Woman” e “The Stair Song”): tutti episodi che contribuiscono al ‘folklore’ del disco, ma il cui valore artistico varia dal nullo al discreto a seconda dei casi, e sono principale causa della disomogeneità genetica che è croce e delizia di questo disco.
Più consistenti le ‘vere’ canzoni: la migliore è senza dubbio il capolavoro “Oh Coal Black Smith”, composta semplicemente dalle schitarrate acustiche di Douglas, dai coretti di Rose e dalla voce unica, tra il surreale e il visionario, di David: il brano è caratteristico per le variazioni d’intensità (dal docile al fanatico) che rendono la narrazione particolarmente multiforme; il suo finale confluisce in “Panzer Rune”, l’unica della partita a rimanere legata ad inquietanti motivi Industrial, fra sample di pompose orchestre liriche, cadenze militaristiche e lamenti da trance; la segue “Black Flowers Please” (altro classico molto popolare tra i fans) in cui pare che Tibet declami enfaticamente una qualche sua allucinazione, con Pearce che tenta di stargli dietro con chitarre e batteria e la McDowell che gorgheggia la ‘solita’ introduzione cantilenante.
Discretamente apprezzabili anche la leggermente monotona “The Final Church”, sorretta da un tintinnante pianoforte e dall’insostituibile chitarra acustica, e l’altalenante “Beausoleil”, tirata eccessivamente per le lunghe ma capace di sorprendere per la sua stravagante associazione: suoni bambineschi e spensierati assieme a momenti angoscianti e maligni, secondo un tema che rimane pressoché costante in tutto l’album; il finale è aggraziato da due godibili ‘cover’ (ma altre rivisitazioni più o meno esplicite sono sparse in tutto il platter, visto che “Summer of Love” riprende i Blue Öyster Cult e la stessa “Oh Coal Black Smith” è un brano tradizionale inglese): si tratta di “Since Yesterday” , zuccheroso e delizioso Dark Pop firmato dalle Strawberry Switchblade, qui rivisto in chiave Neo-Folk, e la sognante “Angel”, in cui i riflettori si spostano sulla carismatica figura di Douglas Pearce, che con un’interpretazione da consumato crooner regala a “Swastikas...” un attimo di pura eleganza (la gemella di questo brano sarà presente in “Wall of Sacrifice” dei Death in June, l’anno successivo).
Difficile stendere un giudizio oggettivo su un disco così sfaccettato e complesso: le carte vincenti di “Swastikas For Noddy” sono il suo spirito genuino e indipendente, e la tremenda importanza avuta non solo nell’ambito della discografia dei Current 93 (di cui rimane una pietra miliare), ma in tutto il panorama dell’Apocalyptic Folk; quest’album è un avamposto che dimostra come dal gotico Industrial si potesse passare a forme musicali più convenzionali e vicine alla tradizione popolare, plasmando un genere: nello stesso periodo nascevano sia “Brown Book” di Death in June che “Against the Modern World” di Sol Invictus, ma “Swastikas for Noddy”, pur meno brillante, è talmente variegato da contenere già, nel suo un nucleo d’idee, anche le intuizioni di quei due dischi e di tanti altri.
Questa sua caratteristica gli fa mancare una personalità unitaria, e la sensazione che quest’album fosse un calderone un po’ troppo confusionario deve aver sfiorato anche David Tibet, che nel 1989 ristrutturerà questo disco, ritoccando musiche, titoli e ordine dei brani e ripubblicando il tutto come “Crooked Crosses for the Nodding God”: pur essendo leggermente più compatto, quell’episodio perdeva la straordinaria spontaneità di “Swastikas for Noddy” e il suo colorato, giocoso appeal, risultando quindi in un’operazione riuscita a metà, interessante ma priva di autenticità.
“Swastikas for Noddy” è nel bene e nel male, unico: fiabesco e religioso, privo di profondità e mancante in compattezza, ma ricco di diversità e straripante d’innovazioni. E se da un punto di vista artistico ci sono innumerevoli dischi capaci di surclassarlo, praticamente nessun’altra uscita è tanto imprescindibile per chi volesse affrontare il Folk apocalittico da un punto di vista storico.