- Scott Weiland - voce
- Slash - chitarra
- Dave Kushner - chitarra
- Duff Mckagan - basso
- Matt Sorum - batteria
1. Let It Roll
2. She Mine
3. Get Out The Door
4. She Builds Quick Machines
5. The Last Fight
6. Pills, Demons & Etc.
7. American Man
8. Mary Mary
9. Just Sixteen
10. Can't Get It Out Of My Head
11. For A Brother
12. Spay
13. Gravedancer
14. Don't Drop That Dime (hidden track)
Libertad
E' fin troppo semplice trovare più di un accostamento o di un parallelismo tra Audioslave e Velvet Revolver, ciascuna delle quali nata dalle ceneri di altre due band, infatti nel primo caso l'ex singer dei Soundgarden Chris Cornell va ad unirsi con gli ex membri dei Rage Against The Machine Tom Morello, Tim Commerford, Brad Wilk, mentre nell'altro caso Scott Weiland, cantante degli altri eroi dell'epoca grunge, gli Stone Temple Pilots, è stato chiamato a far parte dei Velvet Revolver dagli ex Guns N' Roses Slash, Duff McKagan e Matt Sorum, data l'impossibilità per questi ultimi di proseguire un percorso comune con il cantante Axl Rose. Ma soprattutto i due citati supergruppi erano nati con la chiara intenzione di imporsi come band cardini nei rispettivi generi, come punto di riferimento di quell'alternative rock seguito alla breve vita del grunge i primi, e come principali esponenti di un modern hard rock tanto ventilato negli ultimi anni ma mai realmente decollato i secondi.
Lo stile dei Velvet Revolver in realtà, come dimostrato già nel precedente e modesto Contraband, cerca di trarre spunto dalle precedenti esperienze dei vari membri, ponendosi magari a metà strada tra quelle due diverse e valide band; ciò che ne viene fuori è una rilettura dei Guns in chiave post grunge, ma così si finisce per perdere al tempo stesso sia l'inclinazione stradaiola e rock tipica dei Guns, sia quella componente più sporca e grungy che era propria degli Stone Temple Pilots.
Libertad, prodotto da Brendan O'Brien (Pearl Jam), sembra maggiormente concepito ed indirizzato nello stile di Weiland, risultando così meno chitarristico e rockeggiante del suo predecessore, ma nell'insieme si assiste ad un mezzo passo avanti, infatti questa seconda fatica dei Velvet Revolver riesce quantomeno ad essere più varia e colorita dell'insipido esordio, nonostante She Builds Quick Machines, il singolo che avrebbe dovuto lanciare l'album, non sia riuscito nell'intento prefisso.
La copertina raffigurante una moneta cilena emblema della dittatura di Pinochet ed il titolo stesso dell'album sono significativi dell'ispirazione che ha colto Scott Weiland, di recente colpito da un drammatico evento, nella ricerca della libertà intesa nel senso più esteso, da quella politica a quella dalle droghe, ed anche nell'approccio canoro sembra trovarsi molto più a suo agio in questo secondo album per il quale ha collaborato attivamente alla stesura dei pezzi, e forse anche per questo motivo maggiormente si sente la sua impronta ed il suo stile, basti ascoltare brani come Pills, Demons & Etc. o Mary Mary, certo non mancano neanche gli spunti più vicini alla storia dei tre ex Guns, come nell'energica opener Let It Roll o in Just Sixteen, ma in entrambi i casi i risultati, pur se discreti, non sono quelli attesi e sperati.
A regalare le maggiori emozioni ci pensano i pezzi più dolci e meno tirati come la ballad The Last Fight, niente comunque di straordinario, la sorprendente cover degli ELO Can't Get It Out Of My Head, forse la migliore ed il fatto che sia una cover la dice lunga, l'acustica Gravedancer, un po' Alice In Chains con echi hard rock, e la seguente e conclusiva traccia nascosta Don't Drop That Dime, un bel pezzo di hard n' blues che ricorda un po' i Quireboys. Ciò che rimane purtroppo è qualche filler di troppo, come Spay o For A Brother, ed alcuni pezzi davvero modesti come nel caso di She Mine, brano che sembra riadattare gli Aerosmith su una base grunge, o al massimo discreti, quali American Man, un po' punk ed un po' pop nella sua melodia ruffiana.
Il dubbio è se Slash, Weiland e compagni credano realmente in quel che fanno o se invece seguano il mainstream, spinti magari da tutto ciò ruoti intorno a loro (aspettative comprese), perché in tal caso loro stessi per primi dovrebbero chiedersi se collocarsi a metà strada non sia il modo giusto per non accontentare nessuno. E per tornare in tema di accostamenti e parallelismi, bisogna aspettare l'uscita del terzo album per assistere alla fine della loro storia come probabilmente già avvenuto per l'altro (già citato) supergruppo?
L'unica certezza al momento è che Libertad, nonostante il netto miglioramento rispetto a Contraband, sia nell'insieme un album modesto, benché cresca negli ascolti e annoveri al suo interno alcuni spunti davvero carini ed interessanti, dispersi purtroppo in un dilagare di mediocrità.