Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Genere: 
Etichetta: 
Undergroove Records/Andromeda
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Dean Rowbotham - chitarra
- Frank Forman - chitarra, voce
- Nicky Grayson - basso
- Iain Scott - batteria, voce
- Ian Stockdale - voce


Tracklist: 

1. Persius
2. Scenario
3. Ten Fifty
4. If Lockheeds Could Speak
5. Let Them Stay Behind
6. The Thinking Tree
7. The Ballad Of John Madden
8. Her Tides Bare No Compassion
9. Black Dawn

Mirimar Disaster, The

The Mirimar Disaster

Prodotto professionalmente da Alan Smythe (65daysofstatic, Future ex-Wife, The Long Blondes), il debutto omonimo dei The Mirimar Disaster si colloca nella nuova ondata di Post-Hardcore sperimentale, che trova correlazioni con lo stile dei Mastodon più impetuosi ed intricati.
Dopo aver sostenuto diversi live in supporto di celebri acts come 65daysofstatic, The Ghost Of A Thousand, Pelican, Torche e Cult Of Luna, i cinque inglesi giungono ad un sound personale, aggressivo e denso nei numerosi effetti che sono impiegati; la direzione vocale ricorda quella impiegata dai Mastodon, ma le sezioni Hardcore, sebbene conservino una certa complessità d’intreccio, si presentano meno vorticose del previsto.

Persius
apre l’album con una serie di riffs contorti e con un alone di follia, generato già dall’approccio sofferente e duro della voce; tali elementi si ritrovano anche nella seconda efficace Scenario, dove l’atmosfera si fa ancora più rarefatta a causa dei patterns di batteria caotici e non lontani da un risultato NoiseCore. I The Mirimar Disaster puntano ad esplorare meandri angoscianti ed inusuali, creando un sound originale che non disdegna pause ed intervalli dove emergono le chitarre clean.
E proprio le chitarre clean spezzano in più parti il ritmo plasmato da batteria e chitarra, come dimostra la terza Ten Fifty, strutturata in un crescendo di sonorità tutte improntate sul Post Hardcore.
Più si procede e più la resa del disco diventa pesante, ma non mancano di certo idee fuori dal comune, come l’acido intreccio di chitarre di Let Them Stay Behind, che si trasforma presto in una cavalcata di riffs estremi e mai prevedibili.
Un’altra traccia degna di nota è l’ultima Black Dawn, in cui trovano spazio tempi dispari e ritmiche inusuali che fanno parte del sound caratteristico degli Inglesi, capaci di tessere uno stile a cavallo tra Core, Metal e musica sperimentale.

In definitiva, si consiglia l’esordio della formazione britannica agli amanti dei timbri più contemporanei nell’ambito estremo, che riescono a conciliare diverse tradizioni scoprendo soluzioni sempre innovative ed estranee alle altre realtà del panorama internazionale. La pecca principale di The Mirimar Disaster è una piattezza che si prolunga in alcuni episodi, ma il risultato finale si può comunque dire dignitoso e più che discreto per una band al debutto discografico.

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