Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Luca Trifilio
Genere: 
Etichetta: 
SPV Records/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Jacob Bredahl – voce
- Peter Lyse Hansen - chitarra
- Henrik Bastrub Jacobsen – chitarra
- Mikael Ehlert Hansen – basso
- Anders Gyldenøhr - batteria


Tracklist: 

1. Lies And Deceit
2. The Slain
3. Damned Below Judas
4. Drinking With The King Of Dead
5. Forever War
6. Feeding The Demons
7. Floating
8. Let Them Hate
9. Absolution

Hatesphere

Serpent Smiles And Killer Eyes

Sebbene vantino una militanza di circa 15 anni nell’ambito del metal estremo, gli Hatesphere hanno visto circolare finalmente il proprio nome solo a partire dal 2001, anno della pubblicazione dell’omonimo debut album. Tuttavia, fu con l’esaltante platter dell’anno seguente, Bloodred Hatred, che riuscirono ad imporsi in una scena che, proprio in quel periodo, stava iniziando ad affermarsi e, immancabilmente, anche a saturarsi. Una carriera, quella dei 5 danesi di Aarhus, che da quel punto in poi non ha subito soste o rallentamenti di sorta, ma che ha delineato il quadro di una band con le idee chiarissime e con un’estrema prolificità, caratteristica che li ha portati a dare alle stampe, in soli 6 anni, a ben 5 full-length ed a 2 EP.

Serpent Smiles And Killer Eyes vede la luce a 2 anni di distanza dal suo predecessore, l’ottimo The Sickness Within, e si presenta col forte biglietto da visita della produzione di un guru qual è l’inossidabile Tue Madsen. Inutile dirlo, il sound generale del disco è potentissimo e di assoluto impatto, con chitarre affilate quando necessario e corpose in altri frangenti, suoni di batteria pressoché perfetti, basso pulsante e voce che né copre né viene coperta dal muro creato dagli strumenti.

Neanche il tempo di sedersi e il disco inizia con un attacco al fulmicotone: è Lies And Deceit, perfetta opener che alterna assalti thrash/death che non fanno prigionieri a potenti rallentamenti tritasassi che fanno da preludio a nuove ripartenze killer. Il biglietto da visita è dei migliori, ma si capisce presto che gli Hatesphere intendono continuare sulla linea del disco precedente, offrendo cioè un prodotto che, oltre a saper spingere sull’acceleratore, dia anche spazio a momenti di relativa calma, propinata sotto forma di mid-tempos e di insolite variazioni sul tema. A tal proposito, risulta naturale una considerazione: è facile capire quando una band vale realmente qualcosa e quando invece una band fa semplicemente il suo mestiere, senza poter ambire a nulla di più dello status di buona band. Gli Hatesphere fanno parte della prima categoria, e lo dimostrano inserendo all’interno di una struttura così consolidata come può essere quella dei loro brani elementi di netto distacco: su tutti sono da citare l’intro di Drinking With The King Of The Dead, caratterizzato da un’armonica ed un giro distorto dal flavour vagamente country, ed il crescendo orchestrale presente nella velocissima Forever War, magari inutile nel contesto di quel brano ma comunque in grado di destare l’attenzione. Purtroppo, a fronte di qualche idea interessante e di una varietà rispettabile (tenendo in considerazione il fatto che si tratta pur sempre di un genere che lascia poco spazio al concetto stesso di varietà), Serpent Smiles And Killer Eyes risulta penalizzato da una generale perdita di incisività nella parte centrale, a causa di alcune soluzioni un po’ abusate e di brani non riuscitissimi. Fortunatamente la qualità torna a salire nella parte finale dell’album, soprattutto grazie alla malvagia Let Them Hate ed alla scheggia impazzita Absolution, consentendo quindi agli Hatesphere di meritarsi gli elogi di buona parte degli amanti del thrash vecchio stampo contaminato da soluzioni più marcatamente death.

In chiusura, una nota di merito a Jacob Bredahl che si conferma uno dei migliori cantanti del settore, in grado di offrire una nuova prova carica di odio e rabbia, senza dimenticare la notevole varietà raggiunta per ciò che riguarda i registri stilistici: si va da refrain urlati come farebbe il buon Devin Townsend (The Slain), a screaming efficacissimi, per finire con growl molto incisivi. Insomma, un valore aggiunto ad una band che sa il fatto suo, e lo dimostra per la quinta volta su lunga distanza. A fronte di un album che nel suo complesso non fa assolutamente gridare al capolavoro, gli Hatesphere tirano fuori una manciata di pezzi che, con quasi totale certezza, faranno la gioia di chi ama sbattere la testa.


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