- Johnny Rzeznik - voce, chitarra
- Robby Takac - basso, voce
- George Tutuska - batteria
1. Long Way Down
2. Burnin' Up
3. Naked
4. Flat Top
5. Impersonality
6. Name
7. Only One
8. Somethin' Bad
9. Ain't That Unusual
10. So Long
11. Eyes Wide Open
12. Disconnected
13. Slave Girl
A Boy Named Goo
Per tanti anni ignorati dai più, nonostante la bontà dei due precedenti lavori Hold Me Up e Superstar Carwash, i Goo Goo Dolls riescono finalmente a far presa sul pubblico, in particolare quello americano, grazie al buon successo ottenuto nel 1995 da A Boy Named Goo, soprattutto per merito di Name, prima vera hit di successo del trio di Buffalo, quella che iniziò il loro inserimento nel mainstream del moderno rock a stelle e strisce, prima del successo planetario prodotto da Dizzy Up The Girl, malinconica ballata acustica parecchio carina nata casualmente da pochi accordi in cui Rzeznik parla della sua infanzia da orfano.
Ma l'album presenta diverse buone song, che si alternano però a brani poco brillanti e che denotano talvolta una carenza di idee e spunti, tanto da affidarsi spesso sia al punk degli esordi in brani quali Burnin' Up, in possesso di un ritornello pop-punk che ricorda da vicino i lavori più commerciali di act quali Green Day o Offspring, o Somethin' Bad, entrambe interpretate dalla voce stridula di Takac, sia alle immancabili cover, anch'esse di chiara estrazione punk, in questo caso peraltro abbastanza sconosciute, come nel caso di Disconnected e Slave Girl, rispettivamente pescate dal repertorio di The Enemies e Lime Spiders e poste in chiusura dell'album. Le due cover furono in realtà scelte a posteriori per sostituire un brano composto dal batterista Tutuska, e pare che proprio questa scelta fu alla base della decisione del batterista di abbandonare la band dopo questo lavoro.
Si assiste invece ad un uso minore delle ballate acustiche, spesso fin troppo usate dai Goos, infatti oltre alla già citata Name, abbiamo la sola Naked, sicuramente tra i pezzi maggiori del lotto, in possesso di una buona dose energetica che trova sfogo nei grintosi refrain e di chitarre in stile post grunge, altro pezzo forte dell'album è inoltre la bellissima opener Long Way Down, che evoca la sensazione di una passione ostacolata alternando parti più grintose, in cui si rende protagonista la chitarra, ad altre quasi sommesse, questo brano fece poi parte della colonna sonora del film Twister e fu anche ripreso e coverizzato nel 2005 dai metal-cores Haste The Day nell'album When Everything Falls. Degne di nota anche Flat Top, briosa ed energica prima di approdare al bridge che sembra quasi un sermone decantato, le melodiche Only One, cantata da Takac, e Ain't That Unusual, quest'ultima in particolare molto carina.
Ciò che resta di A Boy Named Goo niente toglie e soprattutto niente aggiunge né alla storia di questa band né tanto meno all'album in sé, così canzoni come Impersonality, breve e leggera, quasi impalpabile, o So Long, molto in linea anch'essa con il punk degli esordi, hanno davvero ben poco da dire, se non confermare la semplicità sempre garbata della loro proposta. Leggermente inferiore ai due album che lo precedettero, A Boy Named Goo ebbe comunque il merito, o demerito secondo i punti di vista, di spalancare le porte del successo ai Goo Goo Dolls, almeno negli USA dove l'album ebbe un forte successo, ma per la fama internazionale dovettero attendere altri tre anni e l'uscita di Dizzy Up The Girl e soprattutto del singolo Iris.